Dal pesce scorpione, originario dell’Oceano Pacifico e velenoso, alla triglia tropicale, in arrivo dal Mar Rosso, dal pesce-palla maculato fino al granchio blu, sono quasi un centinaio le specie “aliene” invasive che hanno preso d’assalto negli ultimi anni i mari italiani, con un grave impatto non solo sulla biodiversità ma anche sull’economia e la salute dell’uomo, aggravato peraltro da altri fattori come inquinamento marittimo, plastiche, pesca sportiva e infrastrutture industriali. Emerge da un’analisi Coldiretti diffusa in occasione dell’incontro, nei giorni scorsi a Roma - promosso dal Ministero dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare - con il Commissario Ue alla Pesca Costas Kadis.
A causa dei cambiamenti climatici il numero di specie esotiche terrestri e marine introdotte ogni anno nel nostro Paese è quintuplicato, passando da una media di 6 negli Anni Settanta del Novecento alle oltre 30 dell’ultimo decennio, secondo dati Ispra. Un’invasione di cui il granchio blu è diventato il simbolo, con un danno stimato da Coldiretti Pesca in quasi 200 milioni di euro, mettendo a rischio l’attività di oltre 3.000 aziende ittiche, con diverse realtà che sono state costrette a chiudere i battenti. La produzione di vongole sia nel Veneto che in Emilia è stata quasi del tutto cancellata dagli attacchi del granchio blu e la stessa sorte è stata riservata agli allevamenti di cozze, in particolare quelli della pregiata Scardovari Dop, gravemente danneggiati. Per difendere le produzioni le imprese ittiche sono state costrette a investire in attrezzature spesso molto costose, con reti a maglie adatte a proteggere gli impianti ma l’assedio dei predatori non si è fermato. Molti dipendenti di cooperative e consorzi sono stati posti in cassa integrazione, mentre i lavoratori delle ditte individuali non possono usufruire di alcun sostegno.
Dinanzi a tale emergenza occorre, rileva Coldiretti Pesca, mettere in campo misure di sostegno alle imprese, ma soprattutto provvedimenti strutturali, con un cambio di passo rispetto alle politiche attuali. Le strategie per contrastare la crisi degli stock ittici si sono concentrate sino ad oggi quasi esclusivamente su misure di riduzione dello sforzo di pesca, come il fermo biologico, e di restrizione delle attività e dell’uso degli attrezzi, fino all’ipotesi di vietare la pesca a strascico, che in Italia rappresenta la parte più produttiva del settore. Si è scelto così di penalizzare la parte più debole della filiera con il risultato che negli ultimi venti anni la flotta italiana ha perso oltre il 20% delle imbarcazioni.
Al contrario, non si è tenuto conto degli altri fattori che danneggiano la risorsa ittica.
Agli effetti del clima si aggiungono oggi nei mari italiani quelli provocati dall’inquinamento del trasporto marittimo (200.000 grandi imbarcazioni operano nel Mediterraneo ogni anno, rappresentando il 20% del traffico marittimo globale), delle plastiche che vengono riversate in acqua da scarichi industriali e civili, della pesca sportiva-ricreativa, che e diventata in alcuni contesti concorrente a quella professionale; dagli interventi industriali, quali gli impianti eolici off-shore, di gas liquido o di desalinizzazione, per esempio, che limitano l’attività di pesca, oltre che modificare gli ecosistemi marini circostanti.
Per salvare la Flotta Italia, che negli ultimi anni è diventata sempre più sostenibile a prezzo di grandi sacrifici di carattere economico e non solo, Coldiretti Pesca ha portato al Commissario Ue una serie di proposte, a partire da un sistema di norme strutturali che tengano in considerazione tutti i fattori che impattano sulla biodiversità del nostro mare e che regolino le problematiche dei cambiamenti climatici. In tale ottica servono risorse economiche strutturali, e non più legate alle singole emergenze, con adeguate forme di supporto e indennizzo e tempi più celeri e sicuri di attuazione.
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