Per quanto se ne parli, e molto, gli italiani hanno ancora tanta strada da fare per diminuire gli sprechi alimentari. Ma hanno anche più consapevolezza sull’argomento e più accortezze su come fare la spesa acquistando solo ciò che consumano, e cucinando ricette di recupero per consumare i cibi in scadenza o minimizzando l'impatto ambientale scegliendo alimenti non imballati. Parola di un sondaggio TheFork, condotto su oltre 2.000 utenti nell’“Earth Day 2021”, la Giornata Mondiale della Terra, istituita dall’Onu e che si celebra il 22 aprile, per comprendere quali siano le abitudini sostenibili legate al cibo che gli italiani hanno sviluppato o coltivato nell’ultimo anno in emergenza Covid, e soprattutto il loro punto di vista sugli sprechi alimentari.
Il food waste è una problematica sempre più nominata quando si parla di salvaguardia dell’ambiente e purtroppo non è vincolata alle sole mura domestiche. Secondo la ricerca “Metronomo”, condotta da Metro, con il supporto del Bocconi Green Economy Observatory, i ristoranti italiani dichiarano di buttare tra i 2 e i 5 sacchi da 220 litri di scarti alimentari. Media che cresce se si fa riferimento all’intero Continente: lo studio “Love food, reduce waste” dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche di Pollenzo rivela che l'industria alimentare produce 10,5 milioni di tonnellate di spreco alimentare (pari a 21 kg a persona) ogni anno in Europa. Ma secondo il “Food Waste Index Report 2021”, pubblicato dall’Onu e, in particolare, dall’Unep (United Nations Environment Programme), la quantità maggiore di spreco alimentare avviene nelle abitazioni private, nelle quali viene buttato circa l’11% di tutto il cibo acquistato. Tradotto in chilogrammi parliamo di 74 kg per abitante di scarti l’anno. Il report fornisce anche un’indicazione circa l’impatto ambientale di questo fenomeno: si stima che le emissioni associate agli sprechi alimentari rappresentino dall’8% al 10% del totale dei gas serra.
Cresce, d’altro canto, sempre più anche la consapevolezza questo argomento. Per l’83,8% degli intervistati i consumi alimentari hanno un impatto ambientale elevato o molto elevato. In particolar modo carne, olio di palma, frutta e verdura di importazione, pesce non di stagione e mais Ogm sono percepiti come alimenti ad alto impatto ambientale, contro frutta e pesce di stagione, legumi, cereali e soia che sono invece considerati poco impattanti. Rimangono in una zona grigia la carne finta e latte e derivati, nonostante la prima sia a base di ingredienti di origine vegetale. Se parliamo invece di sprechi alimentari domestici e non, per il 54,8% dei rispondenti sono diminuiti durante i vari lockdown, così come il consumo di alimenti ad alto impatto ambientale (39,9%). Tendenza confermata da uno studio Doxa realizzato per “Food”, secondo il quale nel periodo di emergenza, quasi 4 intervistati su 10 (il 38%) hanno aumentato la loro attenzione verso lo spreco di prodotti alimentari. Gli intervistati affermano infatti che quando cucinano a casa le seguenti abitudini sono molto o abbastanza frequenti: fare la spesa evitando gli sprechi e acquistando solo ciò che si consuma; cucinare ricette di recupero per consumare i cibi in scadenza; minimizzare l'impatto ambientale scegliendo alimenti non imballati (ed esempio, frutta e verdura sfusa, acqua del rubinetto ...). Meno frequenti, invece, azioni come prediligere cibi sostenibili quando si fa la spesa e optare per consegna a domicilio o asporto di ristoranti attenti alla sostenibilità. Infine, quasi mai si mettono in pratica abitudini come regalare gli alimenti che altrimenti andrebbero buttati, usare gli scarti per cucinare o ancora utilizzare app di recupero come Phenix o Too Good To Go.
Dunque, cosa ci impedisce di diventare 100% green in fatto di cibo? Per il 48% degli intervistati si tratta di un problema di reperimento, cioè i prodotti a basso impatto ambientale sono difficili da trovare; il 42%, invece, ne fa un problema economico, sostenendo che il prezzo degli alimenti sostenibili sia troppo alto; infine per il 22% è un problema pratico perché non trovano abbastanza tempo da dedicare alla spesa e quindi alla scelta accurata dei prodotti. Per i consumi fuori casa, invece, per il 77% degli intervistati, sarà abbastanza o molto importante nella scelta di un ristorante la sostenibilità alimentare e l’attenzione a particolari regimi alimentari; il 27% inoltre sarà più propenso a chiedere una doggy bag rispetto a prima del lockdown.
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