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EATALY A ISTANBUL, “DOVE TUTTO EBBE INIZIO”: OSCAR FARINETTI “SI CONFESSA” A WINENEWS. TRA IL PRESENTE E IL FUTURO DI EATALY IN ITALIA E NEL MONDO, UN “DISCIPLINARE” PER CHI VUOLE ESSERCI, E UNA CLASSE POLITICA SEMPLICEMENTE “DA CAMBIARE”

Italia
Oscar Farinetti

Farinetti si è fermato a Istanbul, l’antica Costantinopoli, città che più di ogni altra unisce Oriente e Occidente. E lì, con Eataly, vuole ritornare “per chiudere il cerchio. Era il 1997, ero al Gran Bazaar della città: è lì che mi è venuta l’idea di Eataly, ed è li che, nel 2013, apriremo un punto vendita da 6.000 metri quadrati”. Così Oscar Farinetti “confessa” a WineNews il futuro della sua creazione, che oggi conta 20 store tra estero, “da New York, il più grande, che da solo fattura 80 milioni di dollari all’anno, a Tokio”, dice Farinetti, e Italia, dove il n. 9, e più importante nel Paese, ha aperto pochi mesi fa a Roma, e dove sono in programma altre tappe. Come Firenze, “all’ex libreria Martelli, vicino al Duomo - dice Farinetti - poi a Bari, nell’ala monumentale della Fiera del Levante. E, ancora, a Milano, al Teatro Smeraldo, a Piacenza, e poi, nel 2014, a Verona. E all’estero apriremo a Chicago e in altre città degli States, a Toronto, in Canada, e a San Paolo, in Brasile”. Un colosso da oltre 200 milioni di euro all’anno, che non vuole essere solo business, ma anche motore di una nuova rivoluzione del cibo.
“Nascerà una sorta di “disciplinare di Eataly” per chi vuole essere presente negli store. Un cappello su tutti i prodotti che dice: no concimi chimici, no diserbanti, e così via. E varrà per vino, olive, grano duro per la pasta, e via dicendo. Una cosa semplice, da mettere all’inizio di ogni scaffale che dice: questo prodotto è fatto così. Accessibile a tutti, dagli artigiani del gusto alle aziende più grandi che vogliono stare dentro a Eataly. Per poi scendere nei dettagli di ogni settore: sul vino, ad esempio, vorremmo che il massimo dei solfiti utilizzati fosse la metà di quelli consentiti dalla legge”.
Concetto che è alla base di “Vino Libero”, che mira anche a correggere qualche “stortura” della filiera: “ci sono troppi soggetti che ci guadagnano, con vini che poi arrivano allo scaffale a prezzi esagerati. E non solo in Italia. Dobbiamo creare catene più corte, pur riconoscendo il ruolo del distributore, pensare a internet, ad un dialogo diretto con il consumatore. Mi fa arrabbiare, quando vedo una bottiglia di Barbera venduta a 6-7 euro, che è il prezzo giusto, pensare che il contadino ha preso solo 30 centesimi al chilo di uva. Accorciare la filiera vuol dire essere giusti, avere rispetto: tutte le categorie devono guadagnare, limitando i costi, per arrivare ad un prezzo giusto per il consumatore”.
In Italia in tanti sono convinti che il rilancio, e anche il futuro, passino dall’agricoltura, dal turismo dei sapori e dalla sinergia tra queste cose. Ma come farlo capire anche ai nostri politici? “Semplicemente cambiandoli”.

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