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FARE SISTEMA, FARE SISTEMA, FARE SISTEMA: TUTTI, NEL MONDO DEL VINO, LO VOGLIONO, NESSUNO, O POCHI CI RIESCE. PERCHÉ? A WINENEWS.TV NE PARLANO PRODUTTORI & ENOLOGI: MARCO CAPRAI, POMPEO FARCHIONI E RENZO COTARELLA

Fare sistema, fare sistema, fare sistema: un “mantra” che nel mondo del vino (ma non solo) italiano si ripete continuamente anche se nessuno o quasi, poi, riesce a tradurre gli intenti in qualcosa di concreto. Ma è davvero possibile farlo, in un panorama imprenditoriale fatto di realtà con storie ultracentenarie e altre giovanissime? Di aziende che puntano sull’innovazione di prodotto e altre che non prescindono dalla tradizione? Di cantine che si affidano ai vini di prezzo, e altre che cercano la qualità assoluta? “Non solo è possibile, ma è doveroso cercare di fare sistema”, spiega Renzo Cotarella, uno degli enologi italiani più affermati, “anche se - spiega a WineNews - visto che le differenze ci sono, e sono tantissime, bisogna isolare quei punti positivi che ci possono essere in comune, come la promozione dei territori, per esempio, e puntare decisi soltanto su quelli”. Una posizione che trova d’accordo Pompeo Farchioni, alla guida insieme al figlio Giampaolo, dell’azienda olearia Farchioni e della cantina Terre della Custodia, in Umbria: “il punto in comune più importante è che le cantine devono essere viste come imprese, e quindi devono produrre utili. Questo vuol dire conservare quando c’è da conservare, innovare quando c’è da innovare. E anche i tanti imprenditori di altri settori che si sono dati al vino per “fare blasone”, senza la necessità di guardare al bilancio dell’azienda vinicola, devono cambiare mentalità. Anche perché un’impresa che non fa utili, ma passività, fa male a se stessa ma anche al territorio e al tessuto sociale”. Ma allora perché è così difficile unirsi su pochi punti comuni, e tanto facile dividersi sulle diversità, con una situazione che spesso porta non solo i territori a non essere uniti, ma anche gli attori (privati e pubblici) in di uno stesso territorio? “Perché ci sono troppi soldi pubblici - dice provocatoriamente Marco Caprai, alla guida della griffe Umbra che ha rilanciato il Sagrantino di Montefalco (e il suo territorio) nel mondo - e troppi enti che li gestiscono, quindi troppe risorse che alla fine non sono di nessuno. E se nessuno si sente responsabile di queste risorse, anche l’importanza dei risultati che si ottengono utilizzandole passa in secondo piano. Magari questa obbligatoria riduzione delle risorse dovuta alla stretta economica, spingerà tutti, privati, istituzioni, chi gestisce la comunicazione, a spendere meglio i soldi di tutti”.

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