All’emergenza sanitaria dovuta al Covid, si è sovrapposta quella economica, per la quale faticano ad arrivare risposte concrete dall’Italia e dall’Unione Europea. Ma alle viste ce n’è già un’altra: con l’incertezza sulle modalità di riapertura delle scuole e delle strutture dedicate alla prima infanzia, in mancanza di soluzione diverse, i genitori dovranno organizzarsi in modo da conciliare famiglia e lavoro. Questione complicatissima, e che vede più a rischio proprio l’occupazione femminile. A sostenerlo è Valentina Picca Bianchi, presidente delle donne imprenditrici di Fipe/Confcommercio, la Federazione italiana dei Pubblici Esercizi, imprenditrice nel settore del catering e organizzazione eventi.
“Nel dibattito sulla fase due le donne sono del tutto assenti. Il Governo sembra essersi dimenticato di mettere le imprenditrici e le lavoratrici in condizione di rientrare in attività con equilibrio e costanza. Questo rischia di avere pesanti ripercussioni sul loro futuro. Bisogna dare un segnale forte, pertanto invito tutte le rappresentanti delle associazioni di categoria a lavorare insieme a noi per costruire un pacchetto di richieste da inviare al Governo per fare in modo che nelle prossime settimane la fase due si apra anche per noi. A settembre potrebbe verificarsi una vera e propria ecatombe occupazionale di genere. Cosa succederà quando le aziende, già provate da questi mesi di chiusura, potranno nuovamente licenziare? Chi credete che perderà il posto di lavoro? Un uomo o una donna che dovrà fare i conti con i figli impossibilitati ad andare a scuola se non a giorni alterni? La risposta rischia di essere scontata”.
Nel mondo dei pubblici esercizi, in particolare bar, ristoranti, ristorazione collettiva, catering, intrattenimento, stabilimenti balneari, le imprese femminili, ricorda la Fipe/Confcommercio, raggiungono numeri importanti; nello specifico solo nel comparto bar e ristorazione sono 112.000 imprese, il 28,7% del totale, mentre dal punto di vista occupazionale è donna il 58,9% dei dipendenti, 487.000 persone. Lavoratrici, peraltro, che nel 68% dei casi sono già assunte con un contratto part time.
“È evidente che, in questo caso, le donne sono l’anello debole della catena - sottolinea Valentina Picca Bianchi - costrette ancor più di prima a scegliere tra la cura dei figli ed il mantenimento del posto di lavoro. Uno scenario a dir poco inaccettabile. Davanti a tutto questo, serve maggiore consapevolezza da parte dei sindacati e del Governo. Ecco perché è necessario che siano le imprenditrici a fronteggiare la situazione chiedendo un cambio di passo e misure concrete. È impensabile che una donna imprenditrice o lavoratrice possa portare con sé i figli al lavoro nei giorni in cui non sono a scuola: significherebbe mettere a rischio in primis la loro incolumità ma anche compromettere il distanziamento a scapito di dipendenti e clienti. Ed è altrettanto improbabile che una lavoratrice possa permettersi il lusso di pagare a tempo pieno una babysitter, pur beneficiando dei contributi statali. E attenzione! se le Donne non potranno andare al lavoro salterà la tenuta di tutto il settore dei pubblici esercizi”.
“Serve un piano B - conclude - e serve subito. Bisogna pensare alla riapertura delle scuole in sicurezza ma anche a luoghi di tutela per i minori con servizi per assistere e sostenere efficacemente imprenditrici e lavoratrici. Altrimenti e come se avessimo le mani legate. Non si può scaricare il peso di questa situazione solo sulle spalle delle donne o dei nonni, che peraltro vanno tutelati in quanto categoria più a rischio. Noi siamo pronte ad un confronto per trovare modalità diverse ed efficaci e faremo - certamente - la nostra parte. Siamo certe che anche le colleghe delle altre associazioni vorranno unirsi per costruire una task force al femminile e coadiuvare questo Governo che sta sottovalutando la reale portata di questo problema”.
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