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FRANCO GIACOSA: “BUTERA UN GRANDE TERROIR. LA CONFERMA E’ IL NERO D’AVOLA DELIELLA”

Gianni Zonin Vineyards
L'enologo Franco Giacosa

Come un direttore d’orchestra nelle ore che precedono la “prima”, Franco Giacosa - enologo di livello mondiale che ha la responsabilità di tutta la produzione delle tenute della famiglia Zonin - attende che il 25 maggio si alzi il sipario sul Feudo Principi di Butera, per farci provare la sinfonia dei vini siciliani della nuova azienda agricola Zonin. Una produzione d’eccellenza visto che, prima ancora del debutto ufficiale, il Cabernet Sauvignon “Sanrocco” ha ottenuto importanti riconoscimenti e che il Merlot “Calat” si è meritato applausi a scena aperta.
“La sorpresa per tutti - confida Giacosa - sarà però il Nero d’Avola “Deliella”, che presenteremo, appunto, il 25 maggio in anteprima assoluta. E’ un vino che esprime forza ed eleganza, esattamente come la terra da cui è stato generato. Più che di corrispondenza al terroir in questo caso parlerei di una sorta di imprinting: questo vino racchiude e ci offre tutte le sfumature del bouquet della terra di Butera. Certo - sottolinea l’enologo - non spetta a me dare il giudizio sulla qualità del vino. Io mi preoccupo di esaltarne la peculiarità”. Chi conosce bene Franco Giacosa sa che da piemontese, con una lunga esperienza di lavoro in Sicilia, non è uso ai facili entusiasmi. Stavolta però è convinto di avere trovato la giusta partitura. “Devo dire - commenta - che lavorare qui è impegnativo, ma estremamente gratificante. Ci sono tutti gli elementi per fare grandi vini. A noi spetta solo di combinarli al meglio”.
Giacosa, sembra che questo Feudo Principi di Butera sia contagioso, positivamente. Tutti ne parlano come di una piccola terra promessa. Ma è davvero così particolare?
“Per un enologo avere in cantina materia prima come quella che si ottiene a Butera è il massimo. Devo dire bravi a coloro i quali hanno allevato e coltivato la vigna, ma le condizioni pedoclimatiche di Butera sono davvero felicissime. E’ una collina dolce con un’altitudine di circa 300 metri sul livello del mare. Alle spalle ha la montagna, in fronte a soli 8 chilometri il mare. Questo significa forte insolazione e altrettanto forte escursione termica tra giorno e notte: ecco da dove arrivano i profumi. A dare l’ultimo tocco c’è il vento che assicura la sanità delle uve. Qui, si fanno al massimo quattro trattamenti per prevenire l’oidio e basta. Di fatto, è una coltivazione biologica, non sembri un paradosso, imposta dalla natura. Guardiamo poi la composizione del terreno: “trubi”, cioè marne biancastre su un supporto misto tra argilla e sabbia, il che vuol dire riserva d’acqua quando serve e permeabilità quando si deve drenare. In più possiamo contare su una forte impronta minerale”.
Come dire: l’habitat perfetto per il Nero d’Avola che chiede sole, niente umidità, forte stress climatico…
“E anche stress idrico. Abbiamo limitato allo stretto indispensabile le irrigazioni. Lo scorso anno non ne abbiamo fatta neppure una. Insieme alla fittezza delle piante, siamo sui 5.000 ceppi per ettaro, tutto questo ci assicura una forte concentrazione. Abbiamo perciò prodotto un Nero d’Avola potente, elegante, appena spigoloso in gioventù, proprio per favorirne la longevità, di robustissimo corredo polifenolico e con leggeri, ma evidenti esiti terpenici che rendono il “Deliella” molto peculiare. Il Nero d’Avola di Butera non è eguale a nessun altro. E’ il bello di questo vitigno: racconta perfettamente il terroir dove nasce”.
In cantina che spartito ha scelto per produrlo?
“Lo spartito dell’armonia sugli accordi alti, se così posso dire. Ho fatto una macerazione piuttosto lunga per estrarre tutta la forza del vitigno. Poi, abbiamo passato metà del vino in legno grande e metà in barrique. Questo primo affinamento è durato un anno. Successivamente abbiamo assemblato le due partite e le abbiamo tenute altre sei mesi in rovere grande, più diversi mesi in vetro. Il legno doveva servire ad armonizzare i tannini, peraltro già dolci in partenza, non ad aggiungere corredo gusto-olfattivo. Si sentirà una nota addirittura balsamica. E’ la felice colpa dei terpeni. In queste ventimila bottiglie credo ci sia già abbastanza da assaporare e ascoltare”.
Giacosa, lei è molto loquace sul Nero d’Avola. Poco dice però di Cabernet e Merlot. Sono forse vini, per così dire, “scontati”?
“In enologia di scontato non c’è proprio nulla. Sono portato a parlare più del Nero d’Avola perché è l’ultimo nato e perché è indiscutibilmente siciliano. Cabernet e Merlot sono invece la prova che la Sicilia, e Butera in particolare, è una straordinaria terra da rosso. Del Cabernet “Sanrocco” potevamo anche pensare che avrebbe dato grandi risultati, ma sul Merlot era difficile puntare ad occhi chiusi. E invece il “Calat” è di una forza e di un’armonia difficilmente pronosticabili. Altro che vini scontati, sono vini sorprendenti!”.
Allora: grande Nero d’Avola, più Merlot sorprendente uguale un “superSicilian” in vista?
“Sarei bugiardo se dicessi che non ci ho pensato e che non ho azzardato qualche prova. La difficoltà non è fare un grande blend, la materia c’è ed è ricchissima. Semmai viene da chiedersi se valga la pena sacrificare quel Nero d’Avola e quel Merlot per farli diventare un duo, visto che sono dei solisti di assoluto fascino. Però l’idea del super-rosso c’è”.
Reticente o prudente, invece, sul bianco, anzi sui bianchi di cui poco si è saputo. Il “Dissueri” è pronto?
“Non è prudenza, è la consapevolezza di avere tra le mani una materia prima di assoluta qualità che deve essere presentata al meglio e nel momento migliore. Avere i vigneti a disposizione ti offre la possibilità di capire prima che vino potrai fare, ma ti dà anche la responsabilità di dover esaltare al massimo la qualità dell’uva che porti in cantina. Ho fatto questa premessa perché molti mi chiedono dell’Insolia. L’Insolia è un bianco autoctono di elevate potenzialità, ma non sempre ha l’acidità necessaria a sostenere fino in fondo le belle note aromatiche proprie del vitigno. Diverso è il discorso per lo Chardonnay. Anche qui vale quanto detto per il Nero d’Avola. Le condizioni di coltivazione sono le migliori. Il nostro Chardonnay ha potenza, eleganza e in più finezza proprio in forza dell’acidità. Credo che sarà anch’esso una sorpresa perché si sentirà un bianco siciliano di grande freschezza. Io lo definirei fragrante. Sullo Chardonnay abbiamo lavorato con interventi minimi in cantina: vinificazione e fermentazione in legno, affinamento per quasi un anno, poi passaggio in acciaio dove è rimasto ancora un anno sui lieviti. Il risultato si chiama “Dissueri”. Per degustarlo bisogna pazientare un po’: sarà pronto in ottobre. Ora sta tranquillamente riposando in vetro. Svegliarlo prima sarebbe un peccato”.

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