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GIANNI ZONIN: “GLI AUTOCTONI SONO IL SIMBOLO DELLA QUALITÀ MADE IN ITALY, MA SUI MERCATI ESTERI SERVE UN’ALLEANZA TRA I PRODUTTORI”

Gianni Zonin Vineyards
Gianni Zonin

3.600 ettari di terreno, di cui 1.800 vitati, 11 tenute, 25 milioni di bottiglie prodotte (che si collocano in 3 fasce di prezzo), un fatturato che ha superato gli 80 milioni di euro, una tradizione vitivinicola che risale ai primi dell’Ottocento. Al vertice di tutto questo è Gianni Zonin, il più importante vignaiolo d’Italia, presidente del gruppo che ha per griffe il nome di famiglia. Una grande passione quella per il vino, o meglio per la “cultura” della vite.
Dottor Zonin, è anche una questione di passione, di amore per la cultura rurale, la scelta che ha compiuto nelle sue tenute di puntare sui vitigni autoctoni?
“Sì, c’è anche questa motivazione. Credo molto nelle potenzialità dei vitigni autoctoni per due fondamentali ragioni: la prima è che l’Italia, raggiunto il primato qualitativo, ha bisogno ora di una specializzazione della qualità; la seconda è che la riscoperta degli autoctoni si accompagna alla riaffermazione delle antiche tradizioni, anche gastronomiche, del nostro Paese, e delle culture rurali che hanno consolidato l’importanza dei nostri migliori terroir vitivinicoli”.
Le tenute Zonin, tuttavia, hanno in carnet anche molti vini d’eccellenza ottenuti da vitigni internazionali o da uvaggi…
“Ma non c’è contraddizione in questo. Oggi produrre vino significa essere anche molto attenti al gusto e alle richieste dei consumatori, e non v’è dubbio che alcuni internazionali diano risultati di eccellenza. Non si può non pensare di fare marketing gestendo aziende come le nostre. Però è anche vero che dobbiamo essere capaci di anticipare le tendenze nuove del gusto. Da qui nasce il mix delle nostre produzioni”.
L’opzione verso gli autoctoni non è dettata anche dall’esigenza di arginare la concorrenza che sui mercati stanno facendo i cosiddetti “Paesi emergenti”, che puntano su 4-5 vitigni internazionali?
“In parte sì. Lo dicevo prima, l’Italia ha bisogno di specializzare la sua qualità e gli autoctoni sono il simbolo di questo processo. Ma per venire ai Paesi emergenti devo dire che mentre sul nostro mercato la concorrenza non mi sembra preoccupante, sui mercati esteri questi nuovi competitors sono molto agguerriti. Ed è un dato sul quale riflettere. Se penso alle tenute Zonin che esportano in oltre 40 Paesi mi viene da dire che bisogna stare molto attenti. E a mio modo di vedere sarebbe necessario che tra i produttori italiani ci fosse una sorta di alleanza, o quanto meno una migliore sinergia per arginare questa offensiva, e consolidare le nostre posizioni all’estero come sistema-vino Italia”.
Come sta andando il mercato internazionale e quello nazionale del vino?
“Sono molto soddisfatto dei risultati del 2002, ma soprattutto per la nostra linea top, la Gianni Zonin Vineyards. Se osservo gli andamenti del primo trimestre 2003 devo però fare considerazioni meno positive. C’è in generale una flessione del 10 per cento del consumo di vino che riguarda anche il mercato italiano. La Germania sta reagendo molto male alla sua delicata situazione economica, la Gran Bretagna si sta chiudendo, negli Usa ci sono difficoltà, in Estremo Oriente c’è un calo della domanda. E certo il quadro internazionale non aiuta. Ma se si tratterà di una flessione passeggera allora ci sono margini di recupero, se questo andamento di mercato dovesse però perdurare per molti mesi allora ci saranno difficoltà serie”.
Ma  il vino fa tendenza. Tutti ne parlano, ne scrivono, ne dibattono. Secondo lei cavalier Zonin è moda o si comincia a fare strada una cultura del buon bere?
“Sono assolutamente convinto che si stia diffondendo la cultura del vino e che quindi non siamo di fronte a una moda. E che ci sia un atteggiamento di consumo molto più consapevole e meditato. Osservo molto i comportamenti dei consumatori e vedo enoteche, wine bar, corsi di degustazioni frequentati da giovani che vogliono sapere del vino, che amano rapportarsi al vino. E’ un atteggiamento assai diverso dal consumo di un tempo. Si beve vino per piacere e per sapere. In questo caso c’è molto da imparare dai giovani”.
Veniamo alle tenute della famiglia Zonin. Si è parlato di un’importante svolta qualitativa. Ma è un processo degli ultimi anni o parte da lontano? E a che punto siete nella vostra “rivoluzione”?
“E’ un lavoro cominciato da più di venti anni, da quando abbiamo deciso di allargare le nostre proprietà e le vigne per controllare tutta la filiera di produzione. Oggi siamo i più importanti vignaioli. Dunque è un progetto di lungo periodo che ha richiesto step successivi di realizzazione. Oggi abbiamo quasi completato la riqualificazione dei vigneti, e abbiamo ottenuto importanti risultati e riconoscimenti unanimi dalla critica enologica italiane e mondiale, oltre alla continua fiducia dei consumatori che per noi è il premio più grande. Ma è un processo quello della qualificazione delle produzioni che non ha mai termine. Ogni giorno si deve migliorare in vigna, in cantina, nella commercializzazione. Questa è la filosofia della Zonin e delle tenute di famiglia”.
Un’ultima domanda, dottor Zonin. Lei faceva riferimento alla scelta di acquistare terreni per avere vigne proprie e controllare così tutto il processo produttivo. Ora questo disegno di acquisizioni può dirsi completato?
“Assolutamente no. Entro due o tre anni dovremo realizzare la nostra presenza, e sempre in termini significativi, in un’altra regione vitivinicola d’eccellenza. Siamo già in Veneto, in Piemonte, in Friuli, in Lombardia, in Toscana, in Sicilia e in Puglia; tutti terroir di grande vocazione enoica, ma dobbiamo aggiungere un’altra tessera al mosaico italiano. A quel punto avremo completato il nostro disegno nazionale e dovremo puntare su altre zone del mondo. Perché l’espansione futura sarà oltre i confini nazionali. Ma quest’ultimo è un compito che spetterà alle nuove generazioni Zonin…”.

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