
“Incoscienti”, i giovani, li ha definiti Achille Lauro nella sua ultima canzone al Festival di Sanremo. Di certo, fondamentali, i giovani, per il futuro, anche del mercato del vino. A cui, soprattutto in un momento come questo, di grande difficoltà per i consumi (ed “allargando” un po’ la definizione di “giovani”, ndr), danno speranza. Perché alzano i calici dalla tavola per farne uno status symbol, sono disposti a spendere per etichette super premium, ma senza affezionarsi ai brand, stappano in compagnia e non vogliono rinunciare ai cocktail. È la fotografia dei consumatori di vino under 44 americani e italiani scattata dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly, nella presentazione dell’edizione n. 57 di Vinitaly 2025, di scena a Veronafiere dal 6 al 9 aprile. Sotto la lente, i mercati italiano e quello statunitense (pari, insieme, al 60% del fatturato complessivo delle vendite di vino italiano) e le fasce più giovani della popolazione che, in un contesto generalizzato di calo dei consumi che ha visto il quarto anno consecutivo di contrazione in Italia e il terzo negli Stati Uniti, il vino deve saper intercettare e comprendere. “Secondo l’analisi dell’Osservatorio Uiv-Vinitaly su base Iwsr, che sfata numerosi luoghi comuni sul rapporto vino-giovani, Millennial (tra i 28 e 44 anni) e Gen Z (dalla legal drinking age ai 27 anni) rappresentano la “terra promessa” di un ricambio generazionale tanto necessario quanto complicato, un territorio ancora in buona parte fuori dai radar del vino italiano”, spiega lo studio. Che “smentisce gran parte di un immaginario comune che vede le nuove generazioni molto lontane dal vino, disinteressate e immuni alla sua forza evocativa. Niente di tutto ciò: gli under 44 spendono di più e, di fatto, stanno tenendo a galla un mercato premium minacciato dalla retromarcia di Boomer (tra i 61 e 79 anni) e Gen X (45-60 anni)”.
In questo quadro, il connubio “vino e cibo” rimane importante, ma sembra perdere centralità per i young wine lover americani e italiani. Se è vero che “il vino esalta il cibo” per la grandissima parte degli over 44, scendono sotto la metà quelli che si riconoscono in questa affermazione tra i Millennial e la Gen Z. Di contro, nel Belpaese la quota dei giovanissimi italiani che vede il vino come un “fashion statement” è esattamente il doppio (56%) di quella dei Boomer (28%), e anche i Millennial staccano la Gen X per 16 punti percentuali (45% contro il 29%). Un trend rilevante, per cui Iwsr ha coniato una nuova categoria, quella degli “Status Seekers” che, pur rappresentando solo l’11% dei consumatori abituali di vino, negli Stati Uniti realizzano il 24% del volume e il 35% dei valori generati dai regular wine drinkers. Secondo i dati elaborati dall’Osservatorio Uiv-Vinitaly, circa il 31% del valore complessivo degli acquisti di vino in America è attribuibile a prodotti in fascia ultra premium, effettuati in 6 casi su 10 da consumatori under 44. Diversa la situazione in Italia, dove i vini di alta gamma valgono solo il 10% degli acquisti, ma realizzati anche qui per circa la metà dai giovani consumatori. Sia i giovani americani che italiani, se paragonati alle fasce d’età più elevate, si dichiarano meno fidelizzati a specifici brand: gli infedeli sono circa uno su due tra gli under 44 mentre scendono a un terzo superata questa soglia d’età. La socialità continua a rappresentare un elemento fondamentale nella wine experience, in particolare per i giovani americani che, in 7 casi su 10, hanno aumentato il consumo proprio per una maggiore socializzazione.
Millennial e Gen Z, spiega ancora lo studio, dimostrano un’inconfutabile (ma anche intergenerazionale) passione per i cocktails, ma guardano al vino con un interesse che sfata numerosi luoghi comuni. In primo luogo, non è vero che “il vino non fa presa sui giovani”. In Italia il profilo dei consumatori di vino per età rispecchia fedelmente la distribuzione anagrafica della popolazione (legal drinking age), con gli under 44 a quota 35%, mentre negli Usa Millennial e Gen Z - che rappresentano solo un terzo della popolazione - raggiungono quota 47% tra i consumatori di vino, denotando un tasso di penetrazione della bevanda più alto tra i giovani che tra i consumatori più maturi. Anche rispetto a frequenza di consumo e quantità, viene smentita la convinzione che vede i giovani più morigerati e inclini ad un consumo saltuario. In entrambi i Paesi la tendenza (alta, attorno all’80%) a ridurre il consumo a 2-3 volte al mese appare piuttosto egualmente distribuita tra le diverse fasce d’età, e sul fronte delle quantità, sia negli Usa che - con minor margine di differenza - in Italia, la quota di chi beve abitualmente due o più bicchieri di vino è più elevata tra i giovani che tra gli over 44.
“Si dimostra poi falsa la convinzione - spiega ancora lo studio - che “i consumi scendono per colpa dei giovani”. In America sono proprio i consumatori maturi a tirare il freno a mano. Mentre tra i giovani under 44 sono più quelli che hanno aumentato i consumi (31%) di quelli che li hanno diminuiti (26%), nelle fasce di età più avanzate rappresentano solo il 9% quelli che hanno aumentato il consumo di vino, e salgono al 29% quelli che ne hanno diminuito le dosi. In Italia il calo sembra più trasversale e intergenerazionale e coinvolge oltre un quarto della popolazione (27%) in entrambi i cluster d’età. Anche qui, però, a calmierare in parte il calo sono proprio gli under 44 (il 14% quelli che hanno aumentato il consumo, contro il 7% nella fascia over 44).
Ed in generale, la cosiddetta “Sober curiosity”, come trend, prevale. “Su entrambe le piazze quasi la metà degli astemi appartengono alla generazione Boomer, seguiti dalla Gen X (23% negli Usa e 30% in Italia). Gen Z e Millennial rappresentano complessivamente solo 3 astemi su 10 negli Stati Uniti e 2 su 10 in Italia. La tendenza “Sober curious” si inverte nel caso dei cosiddetti periodi “dry”, (di totale astensione dell’alcol, ndr), che negli Usa vedono in prima fila gli under 44, con una quota disposta a parentesi temporanee di astinenza che tra i più giovani (Gen Z) raggiunge il 60% negli Usa e il 46% in Italia. Più bassa la propensione degli over, con share che si attestano attorno al 30% negli Usa e al 25% in Italia.
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