“L’industria alimentare, nel 2011, tiene nonostante tutto: la perdita dei consumi interni è stata compensata dall’export ed anche l’aumento sensibile dei prezzi è stato riassorbito nella seconda parte dell’anno, lasciandoci un quadro positivo in un omento di difficoltà per tutti”. È il 2011 dell’industria alimentare italiana nelle parole del Direttore Generale di Federalimentare Daniele Rossi. Con 6.300 aziende, principalmente piccole e medie imprese, capaci di generare 127 miliardi di fatturato (di cui 23 dall’export), l’industria alimentare del Belpaese si conferma come uno dei pilastri dell’economia nazionale. Ma se nel 2011 il comparto è riuscito a tamponare gli effetti della crisi, il trend dei consumi interni (-1,7% sul 2010) desta non poche preoccupazioni per il 2012. “Ci sono due fattori - spiega Rossi - che rendono cupi gli scenari futuri: uno è l’aumento previsto della pressione fiscale, sia a livello di aliquote Iva, che dovrebbero aumentare di 2 punti dal 1 ottobre, sia in virtù della nuova tassa, da scongiurare, sui cibi cosiddetti non sani, la “food tax”, che per noi rappresenta una minaccia non da poco soprattutto a livello di immagine, sarebbe una discriminazione tra prodotti sani e prodotti non sani, alcuni dei quali potrebbero essere tra gli eroi del made in Italy. L’altro aspetto da affrontare è quello dell’ulteriore contrazione dei consumi, anche nei Paesi esteri, quindi diventa difficile pensare di compensare il calo interno con una crescita sui mercati esteri: Germania, Francia e Stati Uniti stanno rallentando, e noi con loro”. Un trend che in realtà dura da qualche anno, come ricorda lo stesso direttore generale di Federalimentare, visto che “i consumi interni si stanno contraendo del 2% l’anno già dal 2008, se anche nel 2012 dovesse andare così ci troveremmo di fronte ad un taglio del 10%, che nei consumi alimentari è tantissimo: prima di tagliare sugli alimenti si taglia qualsiasi altra spesa”.
Al centro della filiera agroalimentare nazionale, insieme ad agricoltura e distribuzione, l’industria alimentare acquista e trasforma il 72% delle materie prime agricole ed è universalmente riconosciuta come ambasciatrice del Made in Italy nel mondo, dal momento che quasi l’80% dell’export agroalimentare italiano è rappresentato da prodotti industriali di marca. A livello strutturale il 2011 ha recato nuove criticità all’industria alimentare italiana: prima fra tutte il riapparire della flessione della produzione che si era presentata nel biennio 2008-2009. Il calo del 2011 sull’anno precedente è pari infatti al -1,7%, mentre il valore del fatturato del settore cresce solo del 2,4%, al di sotto del tasso di inflazione (+3,2%), attestandosi a 127 miliardi di euro. Ulteriore allarme proviene dal dato diffuso dall’Istat sul commercio al dettaglio: depurata dall’inflazione, l’invarianza nel commercio dei consumi alimentari nel 2011 si traduce in un calo di oltre 2 punti percentuali in quantità. Il calo dei consumi al dettaglio del -1,0% del dicembre 2011 su novembre e del -1,7% su dicembre 2010 consegna, inoltre, al 2012 una velocità di uscita che lascia presagire un anno altrettanto negativo. Se la produzione e i consumi interni cedono, prosegue la federazione delle industrie alimentari, l export alimentare nel 2011 si è chiuso con una quota di 23 miliardi e un +10%. Nel 2012 si attendono 25 miliardi di export con una crescita di 8,7 punti percentuali. Nel complesso le previsioni 2012 non promettono però nulla di buono. Il calo atteso del PIL prossimo al -2% e soprattutto il forte drenaggio di capacità di acquisto recato dalle recenti misure fiscali comporterà un ulteriore erosione delle vendite e della redditività, analoga a quella del 2011. Preoccupa soprattutto l’effetto Iva sui prezzi, sia quello già attuato che quello atteso ad ottobre, che la filiera non potrà ammortizzare. La produzione è stimata in calo del -1,2%, mentre i consumi alimentari rischiano di essere ulteriormente penalizzati del -1,6% in termini reali.
Non un quadro positivo, ma le aziende sembrano in grado di reagire, tanto che nel biennio 2012-2013 più del 50% delle imprese alimentari punterà sull’innovazione dei processi di produzione e dei prodotti stessi, anche nell’ottica di un’offerta alimentare nutrizionalmente più equilibrata, come emerge dall’analisi di Format Research per Federalimentare. Il sondaggio evidenzia anche la tenuta del settore, nonostante le crescenti difficoltà, anche sul fronte del credito. Le industrie alimentari manifestano un livello di fiducia nell’andamento dell’economia italiana, e in particolare della propria impresa migliore rispetto al totale delle imprese italiane, mentre sui ricavi, sull’occupazione e sulla capacità di fare fronte al proprio fabbisogno finanziario l’andamento congiunturale del settore alla fine del 2011 si caratterizza per un dato che, per quanto spesso preceduto dal segno negativo, si rivela comunque migliore rispetto a quello fatto registrare dal resto delle imprese. Indicativo è proprio il dato riguardante il credito: nel quarto trimestre 2011 il 21,7% delle industrie alimentari ha richiesto un finanziamento. Sebbene venga riportato un certo affanno sulle condizioni del credito (il 47,4% dichiara un peggioramento della situazione del costo del finanziamento, il 38,2% della durata temporale e il 43,7% delle garanzie richieste), ben il 60,3% di queste ha visto accolta la propria richiesta per un ammontare pari o superiore all’importo domandato, il 12% l’ha vista accolta per un ammontare inferiore e solo il 13,7% l’ha vista respinta. Oltre dal maggior costo del servizio al credito, l’industria alimentare vede i propri margini assottigliarsi stretti tra aumento dei prezzi dei fornitori (il 63% li ha visti crescere nel quarto trimestre 2011 e il 27,8 se li aspetta in ulteriore rialzo) e l’allungamento dei tempi di pagamento a valle (il 57,6% ha visto aumentare tali ritardi da parte dei propri clienti, situazione che rimarrà invariata per il 75,2% delle imprese).
Focus - L’aumento dell’Iva
L’aumento dell’Iva sui prodotti alimentari costerà agli italiani non meno di tre miliardi di euro. Lo stima Federalimentare che, considerando anche l’ipotesi della Food Tax, teme ‘‘effetti insostenibili per l’industria alimentare, con la ripresa rimandata al 2014 e migliaia di posti di lavoro a rischio”. Il presidente Filippo Ferrua Magliani chiede lo “stop alle tasse. Questa ulteriore zavorra non è sopportabile né per gli italiani né per il settore. Tasse di questo genere possono contraddire l’impegno del governo di adottare misure e strategie di rilancio dell’economia”. Ed “una tassa sugli alimenti è la più odiosa delle tasse perché colpisce soprattutto i redditi medio bassi, imponendo scelte di consumo e peggior qualità e rinunce”. Federalimentare stima un pesante impatto, considerando le nuove ipotesi di imposizione tra Iva e Food Tax, sulle stime per il settore nel 2012. Causerebbero una perdita di 4 miliardi di fatturato (da 130 a 126 miliardi), -1,7% per la produzione, un calo da 25 a 24,6 miliardi delle esportazioni, una riduzione dei consumi alimentari da 210 a 208 miliardi. L’eventuale Food Tax viene giudicata da Federalimentare “una autentica mistificazione”, perché viene considerata “una tassa per la salute, ma non è vero, è solo una ulteriore imposta” e colpirebbe “una fetta che può arrivare fino al 14% del carrello della spesa”. Senza considerare “l’effetto di immagine negativa sul made in Italy”, con “una fetta rilevante dei nostri prodotti marchiati d’infamia dalla food tax”.
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