Oggi, l’articolo 32 della Costituzione Italiana, recita: “la Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti. Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Domani, lo stesso articolo potrebbe contenere un aspetto in più, legato a cibo e agricoltura. “Fratelli d’Italia porterà in Parlamento una proposta di modifica dell’articolo 32 della Costituzione. Perché nel testo ci sono delle cose che all’epoca non era necessario ribadire. Chiederemo di aggiungere questo passaggio: “La Repubblica garantisce la sana alimentazione del cittadino. A tal fine persegue il principio della sovranità alimentare e tutela i prodotti simbolo dell’identità nazionale”. Un dovere non di destra, non della sinistra, ma di tutti gli italiani”. Parole pronunciate, nei giorni scorsi, dal Ministro dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, Francesco Lollobrigida, nella conferenza programmatica di Fratelli d’Italia a Pescara, in vista delle elezioni europee di giugno.
Una proposta che ovviamente fa discutere, così come fece discutere il cambio di nome del Ministero di Via XX Settembre, da “delle Politiche Agricole” a “dell’Agricoltura e della Sovranità Alimentare” voluto da Lollobrigida, sul modello della Francia dove, per altro, ad inizio febbraio 2024, è stato lo stesso Premier, Gabriel Attal, ad annunciare che Oltralpe la sovranità alimentare sarebbe stata sancita per legge. “L’eccezione agricola francese non è una questione di bilancio, ma di identità e di fierezza” e, poiché “vogliamo essere sovrani per coltivare, raccogliere ed alimentarci”, l’intenzione è di “iscrivere l’obiettivo della sovranità alimentare nell’ordinamento giuridico della Francia”, aveva detto Attal.
Un concetto complesso, in ogni caso, come aveva spiegato qualche tempo fa a WineNews Massimo Montanari, tra i massimi storici dell’alimentazione al mondo: “sovranità è una parola difficile da spendere, ma, come per tutte le parole, il suo significato dipende da come si usa e in quale contesto. Se la sovranità alimentare vuol dire che una comunità è in grado di controllare i processi economici e tutto ciò che succede al cibo che arriverà sulla tavola, è una bella parola, ma quando prende altre declinazioni non ci siamo più. Oggi come in passato, non esiste la possibilità di risolvere tutti i problemi in modo autarchico. Lo scambio sotto forma di commercio, del dono o della solidarietà collettiva è da sempre uno dei motori economici più importanti: dimentichiamoci l’autosufficienza. Però è importante che ci sia un controllo sul cibo, e da questo punto di vista, stiamo vivendo in un periodo storico pericoloso, nel quale ci sono multinazionali - parola anche questa neutra, che vuol dire grandi aziende che operano su scala internazionale, ma che spendiamo sempre in senso negativo - che hanno in mano i commerci e sono in grado di orientare i consumi della gente, con il rischio di perdere questa possibilità. Non sono un economista, ma penso che la via di uscita non possa essere altro che immaginare e realizzare una complicità tra la dimensione globale della nostra economia e le dimensioni locali, che non sono incompatibili”, aveva detto Montanari.
Un concetto, quello della sovranità alimentare, che oggi, per evidenti ragioni politiche, nel dibattito viene collegato ad una cultura di “destra”, ma che in realtà è trasversale e caro anche ad una delle personalità che di più ha inciso nella cultura del cibo e dell’agricoltura degli ultimi 20 anni a livello mondiale, ovvero Carlo Petrini, fondatore Slow Food. Che in un’intervista a WineNews, raccolta ad ottobre 2022, poco prima dell’insediamento del Governo Meloni, parlando tra le altre cose di quale fosse il primo punto nell’agenda politica di chi doveva (e deve) governare il cambiamento agricolo e agroalimentare, rispose che “la cosa più importante è rafforzare la sovranità alimentare. Una scelta che non si coniuga solo in una dimensione nazionale, ma anche in quella di un borgo. Essere sovrani, cioè essere coloro che decidono cosa seminare, cosa piantare e cosa mangiare, è una delle essenze principali della nostra felicità e anche dell’economia alimentare. Purtroppo con il tempo abbiamo perso questa sovranità e siamo diventati dipendenti dalle derrate alimentari che arrivano da altri Continenti. Il cibo fa viaggi assurdi: pensiamo per esempio ai pomodori che arrivano dalla Cina, vengono messi in scatola come pelati con il nome italiano, poi ripartono per essere venduti in Africa come italiani, costando di meno dei pomodori degli africani. Dove è la sovranità alimentare? Questa è speculazione, che uccide la sovranità alimentare dei prodotti africani e fa deambulare questa merce in maniera incredibile. Ho portato un esempio, ma se ognuno di noi questa sera quando si mette a tavola guarda quanti km ha fatto il cibo che sta consumando rimarrebbe senza parole. Quindi la prima cosa da mettere in agenda è proprio questa: fare in modo che il più possibile la sovranità alimentare sia frutto dei territori. Dare più valore nella produzione alimentare all’economia locale che non ad una dimensione planetaria dove le merci girano senza senso. E questo lo dico anche rispetto a molte persone che hanno a cuore il biologico e poi comprano pere bio che arrivano dall’Argentina: fa più male quella pera di una prodotta convenzionalmente, ma a casa tua. Questo è buon senso, e ci deve portare a capire che la forza dell’alimentazione è riuscire a rimanere, con produzioni possibili, per la maggior parte nei territori”.
Una definizione, peraltro, quella di “sovranità alimentare” che nasce nel 1996 (e poi aggiornata nel 2007), per voce de “La Via Campesina”, un’organizzazione internazionale di agricoltori fondata nel 1993 a Mons, in Belgio, formata da 182 organizzazioni in 81 Paesi, e che si descrive come “un movimento internazionale che coordina le organizzazioni contadine dei piccoli e medi produttori, dei lavoratori agricoli, delle donne rurali e delle comunità indigene dell’Asia, dell’Africa, dell’America e dell’Europa”. E che, come riporta un recente studio della Fondazione Barilla, recita: “la sovranità alimentare è il diritto dei popoli a cibo sano e culturalmente appropriato prodotto in forma sostenibile ed ecologica, e il diritto di definire i propri sistemi alimentari e modelli di agricoltura. Essa pone al centro dei sistemi e delle politiche alimentari le aspirazioni e le esigenze di coloro che producono, distribuiscono e consumano cibo, anziché le richieste dei mercati e delle società. La sovranità alimentare difende gli interessi e l’integrazione delle generazioni successive e offre una strategia per resistere e demolire l’attuale regime alimentare e di commercio aziendale, e le indicazioni per i sistemi alimentari, agricoli, pastorali e di pesca, fornite dai produttori e dagli utenti locali. La sovranità alimentare dà la priorità alle economie e ai mercati locali e nazionali e incoraggia l’agricoltura contadina e familiare, la pesca artigianale, il pascolo guidato e la produzione, la distribuzione e il consumo di cibo basati sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica. La sovranità alimentare promuove il commercio trasparente che garantisce redditi adeguati a tutti i popoli, nonché il diritto dei consumatori di controllare la propria alimentazione e nutrizione. Essa garantisce che i diritti di utilizzo e gestione di terre, territori, acque, semi, bestiame e biodiversità siano nelle mani di quanti si occupano della produzione di cibo. La sovranità alimentare implica nuove relazioni sociali, libere da oppressione e disuguaglianza tra uomini e donne, popoli, gruppi razziali, classi sociali ed economiche e generazioni”. Chissà quale forma prenderà, dunque, la “sovranità alimentare” in Italia, se e quando entrerà nella Costituzione.
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