Se il made in Italy del cibo ha successo nel mondo, è perchè figlio di un sapere antico e perchè, in fondo, l’agricoltura italiana pensa “al mercato” da più tempo di quanto si pensi. Certo c’è ancora un forte squilibrio tra le parti della filiera, criticità che per essere superate richiederebbero una revisione dei rapporti tra chi ha potere e chi non ne ha, e sui meccanismi di controllo. Non di meno, sta cambiando il rapporto tra campagna e città, con la prima che in qualche modo dipende sempre più dalla seconda. E se oggi il cibo ed i temi ad esso legati sembrano più importanti che in passato, così in realtà non è: dal momento che dall’alimentazione dipende la vita dell’uomo, è sempre stato un tema centrale, ma oggi l’invasività dei media ha amplificato tutto. Fin troppo, tanto che le persone sono sempre più connesse, ma al tempo stesso sempre più isolate, e per cui il valore di convivialità che è strutturale ai discorsi intorno al cibo, diventa ancora più importante. Riflessioni che arrivano da una conversazione di WineNews con Massimo Montanari, docente di storia medioevale e dell’alimentazione all’Università di Bologna, dove dirige anche il Master di Storia e Cultura dell’Alimentazione, considerato uno dei massimi storici contemporanei.
“Il successo dei nostri prodotti agroalimentari affonda in profondità le radici nel passato, nel senso che sono prodotti buoni perchè c’è dietro un grande lavoro, una grande storia che li ha costruiti. Poi chiaramente ci sono il marketing e la promozione, la commercializzazione, ma non è una novità: fin dal Medioevo tutti i prodotti a “denominazione”, non controllata al tempo, e forse era anche meglio, avevano una destinazione soprattutto commerciale. Parliamo di prodotti di qualità che si definiscono con certi standard e finiscono sul mercato. Dietro c’è un lavoro contadino che li elabora e li produce, ed è importante capire che la cultura contadina non ha mai lavorato solo per la sussistenza, ma anche per il mercato”.
Certo, tutt’oggi ci sono forti squilibri nella filiera, dalla bassa remunerazione per chi produce la materia prima allo sfruttamento del lavoro. “Ci sono dei punti di snodo in questa filiera, nella storia del prodotto, dalla terra alla tavola, che sono controllati attraverso meccanismi di potere - sottolinea Montanari - ed il potere ha sempre avuto, oggi come ieri, un ruolo essenziale nella definizioni dei modi di lavorar,e e sull’uso finale e sociale di questi prodotti. Davanti a questi fenomeni possiamo dire che il potere esiste, ma che se lasciato a se stesso tende ad assere incontrollato e servono dunque dei meccanismi di controllo, che vanno decisi”.
Insomma, un dicotomia tra “signori” e “contadini” che esiste ancora oggi in qualche modo, ma che sta cambiando, così come sta cambiando lo storico rapporto tra città e campagne. “I contadini oggi hanno un rapporto sempre più stretto con la città, perchè oggi è in città che risiede la maggior parte dei consumatori, che possono spendere per comprare. L’integrazione città campagna è molto forte oggi, gli agricoltori hanno stretto un rapporto diretto con in consumatori, per esempio con formule come quella di far venire i consumatori nei campi per andarsi a raccogliere direttamente le verdure. E vuol dire che oggi il contadino, se vuol vivere, ha bisogno di una realtà urbana di cui non può fare a meno, perchè la quantità di persone che vivono in città è straordinariamente più alta di quello che poteva essere solo 100 anni fa. E poi c’è il fenomeno dei cittadini che si fanno l’orto in città, per esempio. Oggi, potremmo dire, esistono i contadini-cittadini”.
A cambiare, però, sembra anche il peso del dibattito intorno al cibo, che ha assunto un ruolo più centrale che in passato, almeno nella percezione.
“Oggi il cibo, anche dal punto di vista mediatico, ha una grande visibilità, molti ne parlano, e la storia di quello che si mangia assume un ruolo centrale. Ma questo non significa che chi studia la storia del cibo - sottolinea Montanari - faccia un lavoro più o meno importante che in passato, perchè studiare la storia dell’alimentazione è mettersi di fronte ad prospettiva storica che ha sempre nesso il cibo al centro, a livello sociale, economico e politica. Questa sovraesposizione mediatica del cibo oggi è un po’ una distorsione prospettica, che deriva dal fatto che i media oggi sono enormemente più invasivi e penetranti nella vita delle persone. Ma la centralità del cibo, storicamente, è sempre esistita. E quindi lo storico del cibo fa cose importanti anche quando non studia l’attualità, e anche i mezzi di informazione pre-moderni, pur limitati e ristretti, dedicavano un’attenzione al cibo molto alta. Letteratura, dietetica, legge, hanno sempre trattato il cibo come argomento centrale. Oggi se ne parla tantissimo, perchè per fortuna la comunicazione è accessibile a tutti, ma la riflessione sul cibo è sempre stata importantissima, anche quando l’accesso alla comunicazione e all’informazione era per meno persone. Anche nel medioevo era così, in tutte le fonti si parla di cibo: testi legislativi, letteratura, romanzi, documenti privati. Il cibo è ovunque, è il centro della nostra vita, inutile girarci attorno, senza non si vive, e attorno al cibo ruota un mondo di attenzione che c’è sempre stato. Per questo non dobbiamo pensare che questa attenzione al cibo sia un fatto contemporaneo e di questa epoca”.
Ad essere cambiato, però, sembra il ruolo del cibo: da sempre elemento di unione e di convivio, oggi anche qui ci si divide, tra vegani, vegetariani, crudisti e così via.
“Difficile analizzare le ragioni di questo fenomeno. È vero che il cibo ha assunto nella società contemporanea un aspetto di identità che si sta frammentando molto, e il tema della convivialità che è strutturalmente parte del discorso sul cibo rischia di perdersi. Si creano i circoli, quello dei vegani, dei crudisti, di chi fa la dieta preistorica, di chi non mangia una cosa o un’altra, e questo è molto difficile da valutare da un punto di vista storico. Sociologicamente forse la grande pervasività di internet e social network fa si che siamo tutti connessi ma siamo tutti più soli, e questo paradossalmente può andare a scapito della convivialità, del vivere e del fare le esperienze insieme. Tuttavia penso che la convivialità rimanga elemento imprescindibile del mangiare. Mangiare in solitudine non è proprio della specie umana, e penso alla convivialità in termini elementari: prendere un caffè insieme è un momento di convivialità, quando uno dice “andiamo a mangiare una pizza”, non parla di pizza ma di stare insieme, dice “facciamolo insieme, andiamo a condividere un cibo””.
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