A marzo 2021, quando il mondo stava lentamente tornando alla normalità un anno dopo lo shock della pandemia di Covid-19, bastò una manovra sbagliata di una nave per bloccare per una settimana il Canale di Suez. Snodo internazionale fondamentale, in quei pochi giorni il commercio marittimo andò letteralmente in tilt, accumulando ritardi di settimane e portando ad una corsa al container che presto fece correre anche i prezzi. Fu, forse senza che ce ne accorgessimo, l’inizio di quella spirale di aumenti, fatta deflagrare dalla guerra in Ucraina, che ha poi coinvolto i carburanti, l’energia, le materie prime, generando la più importante dinamica inflattiva degli ultimi 40 anni in tutto il mondo occidentale.
Come se non bastasse, il traffico marittimo dalla Cina non è mai tornato ai livelli pre-Covid, a causa delle continue chiusure cui sono sottoposte decine di città costiere, vittime della politica degli zero contagi che Pechino non sembra intenzionata ad abbandonare. Ma non finisce qui, perché nel 2023 il trasporto delle merci via mare, canale fondamentale per le esportazioni di vino del Belpaese, potrebbe vivere un’ulteriore difficoltà. Come riporta la Reuters, infatti, dal 2023 il trasporto navale dovrà attivarsi per tagliare le emissioni, come previsto dalla International Maritime Organisation. Il problema è che la stragrande maggioranza delle flotte commerciali è fatta di mezzi piuttosto vecchi, che avrebbero bisogno di enormi investimenti. Oppure, più semplicemente, di andare più lentamente. Rallentare la velocità di crociera del 10%, infatti, porta ad un taglio medio delle emissioni del 30%. Oltre, ovviamente, all’ennesima catena di intoppi lungo la filiera di una logistica che … fa acqua da tutte le parti.
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