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IL VINO HA SEMPRE RICOPERTO UN RUOLO CENTRALE NELLA STORIA DELL’UOMO: DA CENTRO DELLA TAVOLA A PROTAGONISTA IN ALCUNI TESTI FONDAMENTALI DELL’ANTICHITÀ. A PARLARE A WINENEWS DI APPROCCIO STORICO ALLA VITE E AL VINO, I PROFESSORI BETA E BEVILACQUA

Il vino ha sempre ricoperto un ruolo centrale nella storia dell’uomo. Da centro della tavola a centro delle conversazioni fino a protagonista in alcuni testi fondamentali dell’antichità. E mentre gli scrittori latini Catone, Varrone e Virgilio discutevano su dove era meglio piantare una vite, nel XVII secolo, con la comparsa delle prime bottiglie bordolesi, si cominciava a concepire il consumo di vino in maniera individuale. A parlare, a WineNews, di approccio alla vite e al vino nel corso della storia, i professori Simone Beta e Piero Bevilacqua.
“Le indicazioni degli antichi ci dicono che la vite era una parte fondamentale nel paesaggio - spiega il professor Beta dell’Università di Siena - perché la quantità di termini e aggettivi che si riferiscono alla vitivinicoltura nell’antica Roma e Grecia, sono talmente tanti che sembra che non ci fosse un metro quadro del paesaggio senza qualche vite. Non esiste città, luogo o regione del mondo antico della quale non venga detto che era un posto “vitifero”, ovvero ricca di vini. In assenza di immagini, dopotutto, gli scritti sono gli unici strumenti che ci consentono di capire in che modo erano distribuite le colture nel territorio italiano. Catone, Varrone, Columella, Plinio il Vecchio, ma anche Virgilio - continua il professor Beta - insistono molto su aspetti tecnici riguardanti la vigna: che tipo di terreno era il migliore, dove doveva essere piantata, la disposizione dei filari, il tipo di uva ... Ognuno aveva la sua teoria, ma tutti erano concordi sul fatto che non esisteva un terreno adatto indistintamente a tutti i tipi di viti. I romani infatti avevano un senso molto pratico. C’era una accurata attenzione a tutti i terreni, e la vite doveva rendere. Quindi era illogico piantare un certo tipo di vitigno su un terreno che non la valorizzasse”.
“Il vino - conclude il professore - era un elemento fondamentale nella vita e nell’alimentazione degli antichi e come oggi, allora, c’erano diversi tipi vini, di diversi costi, che si adeguavano ai diversi strati sociali. Nel XIV libro de “la storia naturale” di Plinio c’è una sezione dedicata ad alcune leggi promulgate nel I secolo a.C. che proibivano l’importazione di vini dalla Grecia in modo troppo elevato, perché il vino importato aveva dei prezzi molto alti e Giulio Cesare, rappresentante del partito popolare, sosteneva che quando gli aristocratici compravano vini di Taso e di Chio importati dalla Grecia si comportavano male nei confronti della cittadinanza. Quindi c’erano delle leggi che proibivano di bere vino di alta qualità”.
“Nel Medioevo e nel primo rinascimento - racconta il Professor Bevilacqua della Sapienza di Roma - si consumavano molti vini meridionali perché erano molto alcolici e liquorosi, quindi molto apprezzati dal gusto del tempo, visti anche i pranzi opulenti che duravano ore e ore. I vini calabresi, in special modo, andavano anche nella mensa del Papa e in alcune mense di sovrani europei, anche perché erano vini che si conservavano meglio, soprattutto nei trasporti. Nel XVII secolo ci fu proprio una mutazione del gusto in Europa, grazie ai francesi che cominciarono a produrre un vino nuovo che si adatta anche a pasti più sobri. La vera rivoluzione però - conclude Bevilacqua - si ebbe con l’avvento dei 2 formati di bottiglia: la borgognona e la bordolese, grazie alle quali si individualizza il consumo di vino diventando più fruibile a tutti. Che si adattavano anche a coloro che non si potevano permettere di stare a tavola per molte ore perché dovevano tornare a lavorare”.

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