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IL VINO ITALIANO CRESCE NEI PAESI BRIC (BRASILE, RUSSIA, INDIA, CINA), MA GUARDA ALL’ESTREMO ORIENTE. COSÌ STEFANO RAIMONDI, DIRETTORE UFFICIO VINI-BEVANDE ICE. EUGENIO POMARICI (UNIVERSITA’ DI NAPOLI): “PARTITA APERTA CON FRANCIA E NUOVI PRODUTTORI”

La combinazione dei suoni “vino” e “bric” fa spesso storcere il naso a chi investe e ama i vini italiani di qualità. Ma se invece che il contenitore di cartone, con Bric si intendono quattro paesi (Brasile, Russia, India, Cina) sempre più importanti per l’export di etichette del Belpaese, la musica cambia immediatamente.

“I paesi Bric sono mercati - conferma a WineNews, Stefano Raimondi, direttore dell’Ufficio Vini-Bevande dell’Istituto per il Commercio con l’Estero (Ice) - di grande interesse per l’export di vino italiano. In particolare, la Russia, ha dato delle soddisfazioni molto interessanti, e credo che nel breve periodo possa sviluppare una nuova consapevolezza per quanto riguarda i consumi e quindi estendere le aree di consumo non soltanto sulle grandi città, Mosca e San Pietroburgo ma anche nei centri minori. Il Brasile invece è già un mercato consolidato, e stiamo analizzando - continua Raimondi - le proposte le attività promozionali da sviluppare su questo importante mercato”.

La Cina, soprattutto, ha registrato un grande incremento negli ultimi due anni. In India, invece, esistono ancora dei problemi sulle accise, e inoltre ci sono anche problemi culturali, di inserimento del vino nella cultura alimentare indiana, ma credo che possa avere un futuro soprattutto sull’alta ristorazione”.

Questi Paesi sono molto diversi tra loro sotto molti aspetti. In quali conviene puntare maggiormente su vini di fascia elevata, e in quali con etichette di fascia media?

“Normalmente - risponde Raimondi - il consumo di vino è legato alla disponibilità di reddito, quindi quando ci troviamo di fronte a mercati maturi e a un economia sviluppata si viene ad avere un prodotto di fascia media che entra anche nel canale della gdo, e in questo senso tutti questi mercati che hanno un livello di reddito tale da acquistare vino italiano sono interessanti”.

“Quello che stiamo registrando da un punto di vista statistico è nuove aree come i Paesi dell’Est che sono entrati nell’Unione Europea da poco stanno dando interessanti risultati e, quindi, hanno delle fortissime potenzialità e capacità di sviluppo. Sui vini di qualità e di fascia alta, credo - aggiunge - che questi siano tutti mercati ideali, ma è la dimensione dei segmenti che cambia da mercato a mercato e determina un peso più o meno rilevante dell’uno rispetto all’altro”.

Oltre ai Paesi Bric, quali i nuovi mercati a cui guardare con particolare attenzione?

“Noi come Ice abbiamo analizzato - spiega ancora Raimondi - le strutture esportative, e uno dei fattori critici per l’export di vino italiano è la distribuzione, cioè la distribuzione delle esportazioni rispetto alla potenzialità. Quindi sono nate delle considerazioni che hanno individuato vari mercati, primo fra tutti l’Estremo Oriente, per esempio Corea e Taiwan, e anche mercati emergenti come il Vietnam, dove stiamo realizzando importanti investimenti, come un sito in lingua vietnamita dedicato al vino italiano, come è già successo in Cina, Corea e Giappone, perché avvicinare il vino italiano a queste culture così distanti è estremamente importante. Per ottenere questo non serve soltanto la comunicazione, ma servono anche attività promozionali come la produzione di materiale, azioni presso la gdo ma anche la formazione, che l’Ice realizza in estremo oriente ormai da 5 anni”.


L’osservazione - Eugenio Pomarici, Università di Napoli - “L’export per il vino italiano è obbligatorio, anche se non si deve trascurare il mercato interno ...”

Ma, per l’Italia enoica, l’export è un’opportunità o un obbligo? “Certamente - risponde il professor Eugenio Pomarici del Dipartimento di Economia e Politica Agraria dell’Università Federico II di Napoli - è un obbligo, perché comunque il settore deve crescere, e anche se il mercato nazionale non deve essere trascurato e si può ragionevolmente puntare a una stabilizzazione dei consumi in volume e di un aumento in valore, tuttavia per valorizzare in modo pieno le grandi potenzialità del sistema vitivinicolo italiano è necessario crescere anche sui mercati esteri”.

È conveniente investire anche in quei paesi in cui è difficile portare la cultura del vino?

“Considerata la dimensione del settore vitivinicolo italiano, è d’obbligo pensare ad una strategia globale, che includa sia i mercati dove il consumo del vino si è già stabilizzato e dove si è già costruita una cultura del vino, sia i nuovi paesi, che in termini dinamici offrono le più grandi opportunità. Certamente se guardiamo la piano strategico dell’Australia, presentato nella primavera scorsa, loro stessi pur ponendo grande attenzione sui mercati emergenti e sui cosiddetti mercati Bric, indicano come mercati sui quali intensificare gli sforzi Usa ed Inghilterra”.

Con quali strumenti si può intervenire concretamente?

“Mettendo insieme - risponde Pomarici - le indicazioni che vengono dalle persone con più consolidata esperienza e provate intuizioni di marketing. È chiaro fondamentale è l’aspetto della formazione di tutti i soggetti che compongo la filiera vitivinicola, e quindi gli intermediari di diverso livello, distributori, vendita al dettaglio, consumatori, ma anche ristoratori, sommelier e mondo dell’informazione, sono tutti soggetti da raggiungere sia nei loro paesi, sia portandoli nei modi opportuni in Italia, perché approfondiscano la loro conoscenza del vino e la leghino all’Italia.

“Io credo che in questi che chiamiamo nuovi mercati - conclude Pomarici - si possa giocare una partita molto aperta. I grandi mercati come Inghilterra e Stati Uniti sono ovviamente dominati da un sistema di media di origine anglosassone che talvolta accusiamo di essere francofili e dall’altro con una forte simpatia per i produttori del nuovo mondo. Invece nei nuovi mercati la partita è aperta e quindi un obiettivo strategico credo sia quello di far assumere all’Italia la leadership nel sistema mediatico che propone il vino non solo ai consumatori, ma alla società nel suo insieme”.

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