02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2025 (175x100)
VISIONI

“Il vino si beve meno, ma si beve ancora. Ma serve un approccio più friendly, e meno liturgia”

Le riflessioni di Lorenzo Tersi, ceo di LT Wine & Food Advisory. “Meno “scenografia dei tannini”, il vino è parte di un’esperienza culturale”
CONSUMI, FUTURO, LORENZO TERSI, vino, Italia
Lorenzo Tersi, ceo LT Wine & Food Advisory

Tornare ad un consumo più “friendly” e popolare e meno edonistico e “nobile”, eliminando o meglio riducendo tante sovrastrutture che, se da un lato, hanno aiutato, in passato, a far crescere il vino, oggi, forse, lo stanno schiacciando, fare meno “liturgia”, meno “scenografia dei tannini” e più esperienze di valore culturale, dove il vino non è “il” protagonista, ma un compagno fedele del cibo, una facilitatore di dialogo e non l’oggetto della conversazione, una chiave che apre le porte di un territorio e non la meta del viaggio. Tenendo sempre conto che, in ogni caso, uno dei grandi problemi che incidono sui consumi di vino, che stanno scendendo ma non scomparendo, al nettò di cambiamenti profondi nelle generazioni, negli stili di vita e nell’approccio di ognuno alla salute, resta quello economico, con un potere di acquisto delle famiglie e delle persone in tendenziale calo, in tanti mercati del mondo, e ricarichi dalla cantina allo scaffale, e ancora di più al tavolo del ristorante, che di certo non incentivano gli ordini (come abbiamo raccontato, in questo video). Riflessioni condivise con Lorenzo Tersi, osservatore di lungo corso delle dinamiche economiche e di costume del mondo del vino e founder e ceo LT Wine & Food Advisory.
“Sicuramente a frenare i consumi l’aspetto economico c’è, e non tocca solo il vino, ma anche il fashion e tanti altri settori. Il fuori casa è un abitudine per molti, a volte anche per necessità, ma ovviamente si sta riducendo il consumo, si mangia meno e si beve anche meno. Ovunque, nel mondo, anche in Usa, per esempio, dove se fino a qualche tempo fa dominava la bottiglia, si sta diffondendo in maniera sempre più importante il consumo a bicchiere. Oggi 7 americani su 10 bevono al calice, al ristorante. Ma guardiamo anche in Francia, per esempio: a Parigi, al Marché Couvert Alimentaire Saint-Germain, che ha anche un target medio alto, stanno tornando sempre più le mezze bottiglie, che vengono ordinate più facilmente perchè si riducono i costi, ovviamente, ma anche perchè magari si assaggiano più cose diverse, o perchè si è in due al tavolo e così non si eccede. Ed io credo che, in qualche tempo, quella della mezza bottiglia, diventerà una soluzione sempre più gettonata anche per il consumo domestico”. Ma al netto di tutto, spiega ancora Tersi, “dobbiamo rimette al centro il contenuto culturale del vino, bisogna ridare centralità alla convivialità che è nella nostra cultura da sempre, dagli Etruschi ai Romani, alla liturgia cattolica. Dobbiamo rimettere il vino in tavola non come suo fulcro, ma come elemento, anche nelle forme più semplici, di complemento del cibo, come del resto è sempre stato”, sottolinea Tersi. Che aggiunge: “dobbiamo continuare a valorizzare la cultura e la territorialità, il vino porta dietro un territorio, è la chiave del concetto di experience, ma serve meno liturgia davanti al bicchiere, è fondamentale. Il vino deve tornare ad essere facilitatore del dialogo, non argomento principale del dialogo, è un “ponte relazionale”, deve essere un “di cui” nel quadro di una esperienza più ampia, che coinvolge più persone, non solo gli appassionati di vino”. E vale a tutti i livelli, dal lusso, come per esempio racconta l’esperienza dei tanti “Beach Club” che realtà come Lvmh, Dolce & Gabbana, ma non solo, stanno brandizzando in tutto il mondo, creando luoghi esperienzali che mettono insieme design, vino e cibo e cibo di qualità, ma vale anche anche per un target più popolare, dove magari “assaggiare un calice di Lambrusco con una fetta di Culatello di Zibello in Emilia Romagna, piuttosto che un buon rosso di Toscana con del Pecorino di Pienza, per dire, diventano “scuse” per visitare un territorio e passare qualche ora di piacere, ma non sono l’obiettivo principale dell’esperienza complessiva”.
Insomma, quello che il settore deve fare è non disperarsi, perchè non è vero che di vino non se ne beve più, ma essere capace di capire ed interpretare il cambiamento dei consumi e dei consumatori. E, nello stesso tempo, gestire il proprio cambiamento interno e strutturale. “Lo diciamo da tempo, ma ora più che mai, si stanno creando dei conglomerati di marchi, che è fondamentale, per essere competitivi, non solo per le economie di scala, ma anche per logiche distributive. Non è quasi più una novità, ma una realtà, è un percorso avviato e che continua. Pensiamo alle aziende italiane che hanno la loro società di distribuzione in Usa, e che distribuiscono non solo i propri vini, ma anche quelli di altre cantine italiane e non solo. Alcuni, come sempre avviene, lo hanno fatto alcuni pionieri. Oggi in tanti stanno “tesaurizzando” questo metodo. In Italia e nel mondo. E dobbiamo tenerne conto, perchè le dinamiche della globalizzazione dettano le linee, creano gli stessi problemi e le stesse opportunità per tutti, ma servono dimensioni, forza e strumenti per gestire. Oggi, per esempio, le prime 125 aziende del vino italiano fanno il 65% del business, a fronte di 33.000 imprese che imbottigliano”, conclude Tersi. Che sottolinea ancora: “il vino non è un “cavallo morto”, non è vero che non si beve più. Si beve ancora, meno, e in modo diverso, e di questo tutto il settore deve tenerne conto”.

Copyright © 2000/2025


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2025

Altri articoli