Nel 2023, in Italia, hanno aperto i battenti 6.205 imprese. Ma più del doppio, 15.188, hanno spento i loro fornelli, con un saldo negativo di -8.983 unità. Andamento simile a quello dei bar: per poco meno di 4.000 nuove insegne, se ne sono spente 12.188, con un saldo negativo di 8.251 locali. A dirlo la Fipe-Confcommercio su dati di Infocamere, con l’associazione che rappresenta i pubblici esercizi che spiega: “il turn over imprenditoriale nei servizi di ristorazione resta elevato, negativo il saldo tra le imprese iscritte e cessate per l’anno 2023. Nel confronto con il 2022, le imprese cessate aumentano in proporzione più delle iscritte che pure segnano un incremento del +6,5%”.
Nel complesso, dunque, il saldo tra aperture e chiusure per l’anno 2023, è stato pari a -17.693 unità, rispetto al -17.168 del 2022. Altro dato significativo (e sintomo di un periodo decisamente complicato, anche in fase post pandemia, ormai) è quello relativo al tasso di sopravvivenza delle imprese, pari al 54% dopo cinque anni. Ovvero, considerato il periodo di un lustro, resta in piedi solo un’impresa su due. Ma se nel complesso le attività di ristorazione in Italia diminuiscono, i centri storici segnano una tendenza opposta: in 10 anni, infatti, nel cuore di paesi e città, vede crescere il numero di ristoranti (+2,3), come spiega la nona edizione dell’indagine "Città e demografia d’impresa: come è cambiato il volto delle città, dai centri storici alle periferie, negli ultimi dieci anni” firmata da Mariano Bella per l’Ufficio Studi Confcommercio. Una variazione positiva ma in un quadro drammatico: nei vari settori, in 10 anni, si sono perse 111.000 imprese.
Così, se l’anno scorso erano state quasi 100.000 le attività di commercio al dettaglio e oltre 15.000 le imprese di commercio ambulante a essere “sparite” nei dieci anni precedenti, stavolta - nel conteggio 2024 - il totale sale rispettivamente a più di 110.000 e a oltre 24.000, spiega lo studio, effettuato in collaborazione con il Centro Studi delle Camere di Commercio Guglielmo Tagliacarne. Il trend si conferma e si accentua, dunque, e ciò riguarda anche la crescita delle attività di alloggio e ristorazione, aumentate di quasi 10.000 unità tra il 2012 e il 2023, anche se in misura leggermente minore rispetto alla rilevazione precedente. Da notare la crescita esponenziale dei bed & breakfast: +168% nei centri storici del Sud e +87% in quelli del Centro-Nord. Nello stesso periodo risultano rilevanti la riduzione del numero di imprese italiane attive nel commercio, negli alberghi e nei pubblici esercizi (-8,4%, con bar in calo e ristoranti in crescita) e il conseguente aumento di quelle straniere (+30,1%). Ed è interessante notare che metà della nuova occupazione straniera nell’intera economia (+242.000 occupati) viene proprio da questi settori. “Il commercio - ha commentato Bella - è la principale strada di integrazione per gli stranieri”. Concentrando l’analisi sulle 120 città medio-grandi, la riduzione di attività commerciali è più accentuata nei centri storici rispetto alle periferie, un fenomeno che interessa tanto il Centro-Nord che il Mezzogiorno, fino allo scorso anno caratterizzato, quest’ultimo, da una maggiore vivacità commerciale.
Nei centri storici, spiega lo studio, sono sempre meno le attività tradizionali (carburanti -40,7%, libri e giocattoli -35,8%, mobili e ferramenta -33,9%, abbigliamento -25,5%) e sempre più quelle che offrono servizi e tecnologia (farmacie +12,4%, computer e telefonia +11,8%), oltre alle attività di alloggio (+42%) e ristorazione (+2,3%). “Nelle nostre città è diventato sempre più evidente il fenomeno della desertificazione commerciale. Negli ultimi dieci anni sono scomparse dai 120 Comuni oggetto di analisi, oltre 30.000 unità locali di commercio al dettaglio e ambulanti (-17%), tanto che la densità commerciale è passata da 12,9 a 10,9 negozi per mille abitanti, pari a un calo del 15,3%. Un fenomeno che non dipende se non in minima parte dal calo della popolazione, scesa solo del 2%”, spiega Confcommercio. Secondo la quale, per evitare gli effetti più gravi di questo fenomeno, “il commercio di prossimità non può che continuare a puntare su efficienza e produttività, anche attraverso una maggiore innovazione e una ridefinizione dell’offerta. E resta fondamentale l’omnicanalità, ovvero l’utilizzo anche del canale online, le cui vendite sono passate da 17,9 miliardi nel 2019 a 35 miliardi nel 2023 (+95,5% i beni e +42,2% i servizi), con l’online che nel 2023 vale ormai il 17% degli acquisti di abbigliamento e il 12% del beauty. La crescita dell’e-commerce è la maggiore responsabile della riduzione del numero di negozi ma resta comunque un’opportunità per il commercio “fisico” tradizionale. La sfida si acuisce per i nostri negozi - ha concluso direttore dell’Ufficio Studi - è ora di prendere sul serio il tema del valore sociale del commercio”.
“Prosegue la desertificazione commerciale delle nostre città, un fenomeno che riguarda soprattutto i centri storici dove la riduzione dei livelli di servizio è acuita anche dalla perdita di commercio ambulante. Il commercio rimane comunque vitale e reattivo e soprattutto mantiene il suo valore sociale. Rimane, in ogni caso, prioritario contrastare la desertificazione commerciale con progetti di riqualificazione urbana per mantenere servizi, vivibilità, sicurezza e attrattività delle nostre città. In questa direzione vanno il progetto Cities by Confcommercio e la rinnovata collaborazione con l’Anci a conferma del nostro impegno per favorire uno sviluppo urbano sostenibile e valorizzare il ruolo sociale ed economico delle attività di prossimità nelle città”, è il commento del presidente Confcommercio, Carlo Sangalli.
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