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VINO E DIPLOMAZIA

In Russia la querelle dello Champagne: si potrà chiamare così solo lo spumante prodotto in patria

Lvmh (brand come Dom Pérignon e Moet et Chandon), secondo i media russi, prima sospende le forniture, poi dichiara di adeguarsi alle nuove regole ...

Mentre in Europa tiene banco la querelle tra la Croazia, che ha chiesto all’Unione Europea il riconoscimento della menzione tradizionale “Prosěk”, e l’Italia del Prosecco che ovviamente si oppone, nel giro di poche ore ha fatto il giro del mondo la notizia che la Russia, con una modifica alla legge che regola il commercio delle bevande alcoliche nel Paese, consentirà l’uso del termine “champagne” solo per lo spumante prodotti in patria, lo “shampanskoye”, conosciuto anche nella storia come lo “champagne sovietico”.
Mentre il “vero” Champagne, quello francese, dovrà cambiare almeno in retro-etichetta la sua dicitura nell’equivalente di semplice “spumante francese”, come riporta una delle principali testate economiche del Paese, come “Vedomosti”.
Notizia già bollata come la nuova “guerra dello champagne”, soprattutto dopo la dichiarazione di Moet Hennessy, la divisione enoica del colosso del lusso francese Lvmh (e proprietario di marchi celeberrimi come Dom Pérignon, Moet et Chandon o Veuve Cliquot, tra gli altri), di voler sospendere le sue esportazioni verso la Russia. Ma quello che è sembrato nell’immediato un atto di patriottismo, in realtà è stata solo un prendere tempo per poi accettare le condizioni imposte dal Governo Putin. Perchè come riporta l’agenzia di stampa Reuters, in una lettera inviata ai distributori in Russia, Lvmh ha dichiarato che aggiungerà la menzione “sparkling wine” alle sue bottiglie per riprendere le esportazioni verso la Federazione. “Le Maison di Champagne di Moet Hennessy hanno sempre rispettato le regole in vigore in tutti i mercati in cui operano, e riprenderemo le consegne il prima possibile, non appena saremo riusciti ad adeguarci alle nuove regole”, avrebbe spiegato Lvmh in una email.
Insomma, un ennesimo caso diplomatico spinto da una campagna “nazionalista” in tema di vino, che non è una novità in Russia.
Già nel 2019 Mosca aveva inserito i vini stranieri tra i prodotti proibiti per i brindisi istituzionali di enti pubblici nazionali e municipali.
Il tutto in un percorso fatto si di liti internazionali e scaramucce sul tema dei dazi che ancora sono in vigore tra Usa e Ue, ma dove è dichiarata da tempo la volontà di far crescere il comparto vinicolo nazionale, nella prosecuzione di un progetto iniziato proprio nel 2014, con la forte spinta del Ministero dell’Agricoltura russo allo sviluppo del settore, che ha visto crescere la superficie vitata nazionale ad una media di 3.600 ettari l’anno, e di ben 6.000 nel solo 2016, e che dovrebbe aver raggiunto, nel 2020, un’estensione di 140.000 ettari coltivati a vigneto, almeno secondo i piani “autarchici” dello stesso Presidente Putin, rilanciati proprio con l’annessione della Crimea, storica regione vinicola, nel 2014, ma anche con il rilancio dei vini della regione di Krasnodar.
Una vicenda, questa, che riporta sotto i riflettori la complessità del tema del riconoscimento e della tutela delle denominazioni e delle indicazioni geografiche. Per quelle europee sono riconosciute e tutelate automaticamente solo entro i confini della stessa Ue, mentre in tutti i Paesi terzi la loro tutela e riconoscimento è spesso demandata a trattative e accordi bilaterali. La stessa denominazione Champagne, per esempio, così come si legge in una infografica sul sito del “Comitè Champagne”, non è riconosciuta non solo nella Federazione Russia, ma neanche negli Stati Uniti, per esempio.
In totale, secondo i dati del Center for Research on Federal & Regional Alcohol Markets riportati dal portale Rbc, la Russia importa 50 milioni di litri di spumanti e champagne all’anno, di cui il 13% sono champagne dalla Francia e Moet Hennessy rappresenta meno del 2%. “Questi volumi sono consumati da non più di 1 milione di persone nel paese, il che significa che le fotografie dei rappresentanti dell’élite con un bicchiere non conterranno champagne francese, ma prosecco italiano e cava spagnolo”, avrebbe affermato con una battuta il il direttore della Cifrra, Vadim Drobiz.
Un caso diplomatico e commerciale, dunque, di cui potrebbe approfittare proprio il Belpaese, sottolinea la Coldiretti: “con un aumento record del 37% nel primo trimestre 2021 su 2021 delle esportazioni di bottiglie di spumante italiano, la Russia si classifica al quarto posto tra i principali consumatori delle bollicine italiane, dopo Germania, Stati Uniti e Regno Unito”.
Lo scorso anno, sottolinea la Coldiretti, sono stati stappati 25 milioni di bottiglie di spumante nel Paese di Putin dove particolarmente apprezzati sono il Prosecco e l’Asti. “Il vino e gli spumanti - conclude Coldiretti - sono tra i pochi prodotti alimentari italiani ed europei non colpiti dall’embargo in Russia in vigore dal 2014 dopo le sanzioni Ue decise per la vicenda Ucraina”.

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