La scommessa e insieme il “tesoro” su cui Rudi Kofler sta fondando un pezzo del suo splendido lavoro si chiama Rarity. Ovvero il giacimento di vini di vecchie annate gelosamente conservati in casa col metodo avviato, da assoluto pioniere, da Sebastian Stocker, storico (e da poco scomparso) enologo della Cantina; lustri, cioè (almeno due) sui lieviti fini in cisterne d’acciaio tenute a pressione e a bassa temperatura. Da lì arriva, secondo della nuova serie (dopo il 2004) questo 2005, tiratura amatoriale, ambizione altissima (come la quota delle vigne, dislocate lungo pendenze da alpinista attorno ai 900 metri), target i grandi appassionati e i grandi ristoranti gourmet ed enoteche del mondo. Oltre a eventuali passaggi nelle “auction” giuste. Con una dote di 6 grammi e passa di acidità, e quasi zero (poco più d’un grammo) di zucchero residuo, i caratteri di tensione del vino, al di là del lunghissimo lavorio dell’ affinamento, sono intuibili. Ma oltre la spina, diritta e luminosa, che è la prima profonda percezione al palato, si gode (dire: apprezza è riduttivo) il doppio impatto, olfattivo e in fin di beva, di un “mazzo” di aromi straordinario per complessità e finezza: dalle erbe della “sua” montagna ai fiori di camomilla, fino a ricordi (quasi da gran Champagne) di pane croccante e frutta disidratata, per chiudere con note, stavolta quasi da Chablis, di sasso e pietra focaia.
(Antonio Paolini)
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