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L’ECCELLENZA SECONDO HUGH JOHNSON: IL WINE WRITER PIÙ FAMOSO PROMUOVE L’ITALIA NEL SUO NUOVO “LIBRO DEI VINI” … E LANCIA LE SUE INTERESSANTI E ACUTE CONSIDERAZIONI SUL MONDO DEL VINO

Barbaresco, Barolo, Bolgheri, Brunello di Montalcino, Chianti Classico, Colli Orientali del Friuli, Collio, Franciacorta, Sagrantino di Montefalco: ecco, stando a Hugh Johnson, wine writer più famoso del mondo, i migliori “terroir” del vino d’Italia, tutti insigniti con le “quattro stelle”, ovvero il massimo del punteggio . Con oltre 5 milioni di copie, questa guida, che “non vuol classificare il vino, ma che vuol invitare ad amarlo per quello che è, ciascuno con la sua personalità peculiare e irripetibile”, è diventata un punto di riferimento per tutti gli amanti del vino colti e cosmopoliti, che la considerano una sorta di “bussola” tascabile, indispensabile per scegliere le migliori bottiglie dei più celebrati territori del mondo.

Ma Hugh Johnson non celebra solo i migliori terroir, indica anche le aziende vitivinicole dell’Italia del vino su cui puntare, che quest’anno sono: Antinori, Castello di Ama, Biondi Santi, Ca’ del Bosco, Case Basse (Soldera), Aldo Conterno, Giacomo Conterno, Romano Dal Forno, Fattoria di Felsina, Frescobaldi, Gaja, Bruno Giacosa, Isole e Olena, Ornellaia, Poliziano, Prunotto, Quintarelli, Castello di Rampolla, Rivetti (La Spinetta), San Giusto a Rentennano, Mario Schiopetto, Roberto Voerzio.

Elogi, in particolare, anche per qualche cru: il “superbo ”Vin Santo Occhio di Pernice di Avignonesi, l’“eccezionale” Annamaria Clementi di Ca’ del Bosco, le vecchie annate del Marsala, il Solaia (definito “un grande vino per qualsiasi metro di giudizio”) e il Tignanello di Piero Antinori (“pioniere e ancora oggi leader dei nuovi rossi toscani”), le vecchie Riserve di Brunello di Montalcino Biondi Santi (“i prezzi sono assurdi, ma davvero splendide”), lo splendido Sangiovese “Percarlo” di San Giusto a Rentennano e il Picolit, vino da dessert delicato e dolce (i migliori? Dorigo, Felluga, Meroi, Perusini, Specogna, Villa Russiz).

Hugh Johnson consiglia nella guida (che deve “soltanto aiutare a scegliere sia il vino da bere a tavola tutti i giorni che la bottiglia d’annata e di pregio da far maturare in cantina”) anche una speciale selezione di vini italiani per il 2005, una sorta di “borsa della spesa” per intenditori esigenti: Barolo Villero 1999 Boroli (Piemonte), Langhe Rosso Dialogo 2001 Tenute dei Vallarino (Piemonte), Franciacorta Cuvée Annamaria Clementi 1996 Ca’ del Bosco (Lombardia), Alto Adige Pinot Nero Krafuss 2000 Alois Lageder (Alto Adige), Collio Bianco Studio di Bianco 2001 Borgo del Tiglio (Friuli), Vito Arturo 2001 Le Fonti (Toscana), Brunello di Montalcino 1999 Pian delle Vigne/Antinori (Toscana), Villa Fidelia Rosso 2001 Sportoletti (Umbria), Montefalco Sagrantino 2000 Perticaia (Umbria), Irpinia Rosso Serpico 2001 Feudi di San Gregorio (Campania), Salento Rosso Re 2001 La Corte (Puglia), Contessa Entellina Mille e Una Notte 2000 Donnafugata (Sicilia).

La guida di Johnson (Edizioni Rosenberg & Sellier, pagine 360, euro 15,50), unica anche al mondo nel dichiarare gli interessi dell’autore, è definita da NewsWeek “forse l’unica guida dei vini di cui si sente davvero la necessità”.

Nel libro Hugh Johnson si interroga anche su alcuni aspetti del mondo del vino: “il mondo del vino si modifica in maniera tale da prevedere ogni anno un processo di revisione nelle guide? In verità, è uno dei settori più stabili”; “in tutto il mondo si utilizzano le stesse tecniche: il Nuovo Mondo prende in prestito le idee del vecchio e l’Europa ricambia in fretta la cortesia. Verrebbe da pensare che con tutti questi incroci di esperienze, la provenienza del vino perda ad un certo punto di valore: stesse uve, stessi tini, stessi lieviti, stesse botti - e allora perché tante smancerie? Una argomentazione che funziona, e viene regolarmente sciorinata dai compratori più forti per cercare di spuntare prezzi migliori”. Ed ancora: “per chi ama il vino la spinta a contenere i costi non è affatto onesta, anzi tende ad appiattire la qualità”. Il guru inglese mette, quindi, in primo piano “il crescente tenore alcolico di molti vini, spesso eccessivo” e non esita a criticare lo strapotere di certi critici che con i loro gusti ed i loro giudizi influenzano gli enologi. Ed ancora “il livello alcolico dei vini si sta furtivamente innalzando da 12/13% ad oltre 14/15% volume: il motivo più evidente è la maturità delle uve; la vendemmia fatta più tardi …. Oggi è facile ottenere un vino di eccezionale intensità e che stordisce, basta che splenda il sole. Ma è davvero un vino che si beve con piacere, o almeno, se si deve guidare per tornare a casa?”.

“Anche sul rovere, ci sono cambiamenti” spiega Johnson: “ il buonsenso comincia ad imporsi: con le botti in rovere nuovo francese al costo di 500 dollari ciascuna, cioè 2 dollari a bottiglia, torna a piacere il sapore dell’uva”. Ed aggiunge, a conferma, che “la novità, oggi, soprattutto al ristorante, è di chiedere sempre il vino più giovane, appena pescati come il pesce, senza badare al fatto che quasi tutti i vini buoni traggono beneficio dalla bottiglie nell’attesa che li separa dal bicchiere”.

Quindi osservazioni sull’Italia del vino, contrassegnate da spiccato humour: “dopo un fugace flirt con varietà di stile internazionale, l’Italia sta tornando alle sue uve autoctone. Molte di queste sono vitigni antichi, caratteristici e di stoffa originale che non hanno mai avuto, prima dell’avvento della produzione vinicola moderna, la diffusione che invece meritano”; “oggi gli italiani bevono meno di prima, ma il vino che bevono è di migliore qualità: il conflitto che perdurava nella coscienza nazionale tra il vino come elemento sostanziale o piacere da concedersi si è risolto a favore del secondo aspetto”. Ed ancora: “se da un lato i consumatori sono allibiti davanti ad un lunghissimo elenco di nomi da memorizzare, dall’altro è pur vero che mai prima d’ora si era posta al consumatore una scelta di vini così splendidi”; “sulle denominazioni, l’Italia in genere non sempre risponde a caratteristiche di ordine e precisione”, “le aziende vinicole con più grandi ambizioni sono state costrette ad agire al di fuori delle proprie denominazioni …”; “… la proliferazione di vini dai nomi indecifrabili e con pochi legami chiari al proprio terroir sono spesso di qualità eccellente e contribuiscono con un forte impatto all’affermarsi della propria regione, ma sono comunque continuamente contestati per la confusione che inducono nei consumatori”.

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