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L’ENOLOGO FRANCO GIACOSA: “CONTINUA IL WORK IN PROGRESS DELLA ZONIN IN NOME DELLA QUALITÁ, ORMAI ABBIAMO REIMPIANTATO E RINNOVATO OLTRE LA META’ DEI VIGNETI”

Gianni Zonin Vineyards
Franco Giacosa, l'enologo della maison di Gianni Zonin

Franco Giacosa, enologo di fama internazionale, è a capo - insieme ad una squadra di 26 tecnici - di tutte le produzioni delle tenute della famiglia Zonin: dopo cinque anni d’impegno è pronto a tracciare un primo bilancio sulla svolta qualitativa della più importante casa vitivinicola italiana.
Dottor Giacosa, a che punto è il lavoro di riconversione qualitativa nelle tenute della famiglia Zonin?
“Siamo in target, nel senso che ci eravamo dati degli obiettivi di riconversione prima di tutto nei vigneti e li abbiamo ampiamente rispettati. Ormai abbiamo reimpiantato o cambiato sistema d’allevamento al 60% delle nostre vigne. E’ stato un lavoro davvero importante perché dovevamo agire su 1800 ettari di superficie vitata. Ma in Zonin la qualità è senza compromessi. Una scelta che è diventata programma aziendale”.
Fino al punto di sacrificare alcuni vini?
“Fino al punto di non mettere in commercio i vini che non sono all’altezza. Si sa che la vendemmia appena trascorsa in alcune zone del Paese ha avuto un andamento negativo, e per questo abbiamo deciso di non produrre due vini in Piemonte (Masarej e Bunèis del Castello del Poggio), la Gentilesca Vernaccia di San Gimignano della Fattoria Monte Oliveto in Toscana e il Sauvignon della Tenuta Ca’ Bolani in Friuli: tutti prodotti appartenenti alla Gianni Zonin Vineyards, la linea top dell’azienda”.
Sembra che il sistema Zonin sia sempre più orientato a diventare il “vigneto Italia”. Perché puntate tanto sugli autoctoni?
“Perché nel medio periodo sarà una scelta vincente. Noi stiamo sul mercato e dunque dobbiamo continuare a seguire i gusti del pubblico producendo ottimi vini da vitigni internazionali, ma è anche vero che il gusto si sta modificando. Ora si cercano vini di carattere, ma con minore concentrazione, con più personalità e più espressività del territorio. E gli autoctoni sono la migliore interpretazione di questa tendenza. Penso al Chianti Classico di Castello d’Albola che ormai è prodotto solo con Sangiovese e una piccola percentuale di Canaiolo, e per il quale stiamo abbandonando la barrique per tornare alla botte grande, penso alla Barbera del Castello del Poggio, penso alla Vernaccia, al Nero d’Avola, al Refosco, alla Garganega. Penso ad una gamma gusto-olfattiva capace di interpretare al meglio i desideri di un consumatore sempre più preparato e sempre più curioso di sensazioni autentiche”.
Questa scelta verso gli autoctoni porterà cambiamenti nello stile dei vini delle tenute della famiglia Zonin?
“In un certo senso sì: tendiamo a fare vini con una forte personalità. Faccio un esempio per tutti: il Conte Bolani, che è l’ammiraglia della nostra produzione friulana - in quella zona che è stata giustamente definita come la Maremma del Friuli - è partito come un uvaggio bordolese. Già oggi è al 70% Refosco dal Peduncolo Rosso e al 30% Merlot, e puntiamo a farlo diventare un Refosco dal Peduncolo Rosso in purezza”.
Qual’ è la prossima sfida?
“Beh, di sfide ne affrontiamo tante e tutti i giorni. Diciamo che il prossimo appuntamento che attendiamo con particolare attenzione è la prima vera vendemmia nella nuova tenuta di Maremma: Marchese di Montemassi. E anche lì abbiamo fatto una scelta decisa sugli autoctoni. Abbiamo, è vero, un impianto di Syrah, ma il cuore della produzione è Sangiovese e Vermentino. Sono anche convinto che il terroir di quella parte di Maremma sia destinato a dare grandissime bottiglie”.
Vermentino? E’ una new entry nel bouquet delle tenute Zonin. Perché avete deciso di misurarvi con questo vitigno?
“Fa sempre parte della scelta operata sugli autoctoni. Il Vermentino è il vero bianco di Maremma. E siamo convinti che nei prossimi anni ci sarà una risalita di consumo e gradimento dei vini bianchi dalla forte impronta territoriale. Per noi che lavoriamo in Zonin è d’obbligo avere come primo riferimento il consumatore. E questo significa programmare i vigneti con largo anticipo intercettando in anticipo i nuovi orizzonti del gusto”.

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