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“L’ITALIA ENOICA NON PUÒ LAMENTARSI, L’AUMENTO DEI PREZZI ALL’EXPORT HA ANNULLATO IL CALO IN QUANTITÀ. MA ATTENZIONE AI NOSTRI NUOVI COMPETITOR, COME LA CALIFORNIA”. A WINENEWS, DOMENICO ZONIN, PRESIDENTE UIV, COMMENTA LE CIFRE “VINO IN CIFRE” 2014

Italia
Domenico Zonin

“L’Italia enoica non può lamentarsi, anche se c’è un bel divario tra i vini sfusi e l’imbottigliato: se per i primi l’aumento dei prezzi medi degli ultimi due-tre anni ha portato alla perdita di una certa quota di mercato, e quindi di introiti, in fa in favore di altri Paesi produttori, come il Sudafrica, che può contare su prezzi più competitivi, per i vini imbottigliati, sia bianchi che rossi, il piccolo calo delle quantità esportate è stato annullato da un aumento dei prezzi talmente consistente da far sì che il vino italiano abbia tenuto abbastanza bene sui mercati, e questo è un segnale che ci stiamo muovendo nel modo giusto e nella direzione corretta. Sono buone le performance degli spumanti, e penso che una buona parte del merito vada alla crescita del Prosecco, che ci pone in una dinamica vantaggiosa, sia sugli Champagne francesi che sul Cava spagnolo, e ci fa ben sperare per il futuro”. Così Domenico Zonin, presidente Unione Italiana Vini (www.uiv.it), commenta a WineNews i dati di “Vino in Cifre” 2014 del “Corriere Vinicolo” e Ismea.
Guardando ai competitor del Belpaese, il vero avversario, secondo il presidente Uiv, non è la Francia, e neanche la Spagna, come sottolineato da altri autorevoli osservatori e protagonisti del mondo del vino nei giorni scorsi, come Angelo Gaja: “secondo me, più che dalla Spagna, dal Sudafrica o dalla Francia - dice Zonin - dobbiamo guardarci dai risultati dei vini degli Stati Uniti, essenzialmente i californiani: stanno aumentando sensibilmente le esportazioni, anche se storicamente è sempre stato un vino da mercato interno, mentre negli ultimi tempi sta cominciando a farsi vedere anche nei mercati tradizionali di esportazione dei nostri vini. Gli americani, del resto, hanno almeno due punti di forza da cui guardarsi bene: la grandezza media delle loro aziende ed una grandissima organizzazione, per questo dobbiamo tenerli d’occhio anche come concorrenti non solo sul mercato Usa, ma in tutto il mondo. Sono più preoccupato degli americani che dei sudafricani, nonostante la competitività del prezzo medio dei loro vini, che negli ultimi anni li ha aiutati molto. E poi ci sono i sudamericani, a partire dal boom degli argentini, ancora limitato a pochi specifici mercati, come quello Usa, sul quale soffriamo un po’ la loro concorrenza, ma in generale non sono ancora riusciti a costruire un sistema di distribuzione all’altezza. I cileni vanno sempre abbastanza bene, specie in Cina, dove hanno spuntato accordi commerciali molto più vantaggiosi dei nostri, poi ci sono gli australiani che, dopo l’exploit di qualche anno fa, si sono decisamente stabilizzati. Ribadisco, a far davvero paura sono le aziende californiane, perché fanno fatturati nell’ordine dei miliardi di dollari, e una potenza di fuoco che noi ci possiamo solo sognare, e poi hanno un’incredibile capacità di promuovere i marchi collettivi superiore alla nostra”.
E se tutti guardano alla Cina con entusiasmo, convinzione e speranza, Domenico Zonin è un po’ più freddo, semplicemente razionale: “in Cina la maggior parte del vino consumato è già oggi prodotto lì, però come succede spesso in Asia, più cresce la ricchezza media e più c’è voglia di Occidente, anche a livello agroalimentare, per questo continuo a pensare che mano a mano che si accultureranno da un punto di vista enogastronomico, guarderanno con maggior interesse alle produzioni europee, anche se si tratta di un processo molto lungo, e soprattutto che va avanti con una certa lentezza”.

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