Sarà perché è difficile trovare qualcuno a cui non piaccia oppure perché, ad eccezione delle versioni “gourmet” che comunque iniziano a farsi largo, rimane un piatto “democratico” e quindi economico, una portata che copre un pasto intero. Simbolo del made in Italy, universale come pochi altri, la pizza continua ad essere un “must” per la ristorazione ed a creare aspettative interessanti. Basti pensare, infatti, che cinque pizzerie su dieci sono fiduciose di aumentare il loro fatturato quest’anno; tre su dieci prevedono un andamento in linea con il 2023 e solo poco meno di due su dieci temono un calo lieve (11,5%) o importante (7%). Un trend che fa capire come anche per il 2024 la crisi sia qualcosa di sconosciuto (o quasi) per i “pizzaiuoli” e la loro arte, riconosciuta anche dall’Unesco quale Patrimonio dell’Umanità. Parola dell’“Osservatorio pizza” 2024, l’indagine che, come di consueto, “sforna” Cna Agroalimentare in occasione di “TuttoPizza”, il Salone internazionale della pizza che si tiene a Napoli (Mostra d’Oltremare, fino al 22 maggio).
“La pizza, simbolo del made in Italy agroalimentare, è diventata uno dei piatti più consumati al mondo. Non a caso - osserva il presidente nazionale Cna, Dario Costantini - risponde allo stile di vita moderno e si adegua alla disponibilità economica dei consumatori. Esiste, si può dire, una pizza per ogni tasca. E intorno alla pizza girano numerose produzioni tipiche e di qualità italiane, dai latticini al pomodoro passando per le farine e l’olio di oliva. Una fetta consistente di un comparto trainante dell’economia italiana gira intorno alla pizza. Un comparto dove l’artigianato e le piccole imprese hanno un ruolo determinante come in tutta l’economia italiana e che dev’essere sostenuto e valorizzato nella competizione globale, rappresentando il fiore all’occhiello del made in Italy”.
In Italia fino a non molti anni fa esisteva una spaccatura: da una parte la ristorazione, dall’altra la pizza. Ora che la pizza non è più un “piatto da poveri”, a tavola si è conquistata un ruolo da protagonista. Il campione analizzato ne tiene conto: le pizzerie rappresentano il 40% del totale, i ristoranti-pizzeria intorno al 60%. La maggiore affluenza, nella quasi totalità dei locali che hanno partecipato all’indagine, si registra a cena e nei fine settimana. Le famiglie rappresentano il 48% della clientela ed i gruppi seguono a ruota; i giovani sotto i 30 anni costituiscono un terzo dei frequentatori e, sempre di più, la pizza attira i turisti, ormai un quinto della clientela complessiva.
Il salto di qualità della pizza nell’immaginario dei consumatori è dimostrato da un dato: oltre il 10% dei partecipanti all’indagine dichiara di preparare pizze “gourmet”, vale a dire pizze che vanno oltre l’ordinario, studiate e realizzate per stupire utilizzando materie prime di alta qualità come condimenti. Mangiare una pizza diventa così un’esperienza che agisce su più sensi. Inoltre, chi sforna pizze “gourmet” ha una media di pizze servite quotidianamente più alta di chi sceglie la tradizione: 95 rispetto a 88. Interessante anche l’utilizzo della materia prima considerato che solo il 27% di chi ha partecipato all’indagine utilizza esclusivamente farina di grano tenero. Oltre il 65% degli intervistati, infatti, utilizza farine anche di altro tipo: integrali, di kamut, di farro, di grani antichi; intorno all’8% usa farine senza glutine, tre su dieci utilizzano farine biologiche. Risultati che confermano come la svolta salutistica, con più fibre, sali minerali, proteine e vitamine (oltre a un indice glicemico più basso nell’impasto) è ormai un’acclarata realtà.
Per quanto riguarda gli aspetti più “tecnici”, la metà del campione dispone di un forno a legna per la cottura delle pizze, il 42% di un forno elettrico o a gas, l’8% di entrambe le tipologie. Significativa è la presenza, ancora importante, dei forni a legna. La legna non crea un calore “neutro”, ma essendo materiale organico quando brucia rilascia sapori che diventano parte integrante della pizza stessa tanto che è praticamente impossibile, in un forno non a legna, far risultare croccante fuori e morbida e fragrante dentro la pizza alta napoletana.
Ma quando e come mangiamo la pizza? Il Covid e soprattutto i periodi di confinamento hanno cambiato le abitudini dei consumatori. Lo dimostra la crescita esponenziale delle consegne a domicilio (e dell’asporto), con sei interpellati su dieci che, ormai, effettuano questo servizio e con ritorni economici anche importanti. Per il 60% del campione l’incidenza di consegne a domicilio/asporto arriva al 30% del fatturato globale, per il 7% dei partecipanti sale tra il 30 e il 50%, mentre per oltre il 26% di chi ha risposto all’indagine è tra il 50 e l’80%. Ma c’è anche un quasi 7% che sfonda il muro dell’80% del giro d’affari complessivo. Ad evidenziare il mutamento avvenuto nel business il numero di locali che dispongono di un sito Internet aziendale: rappresentano ben il 90%.
La pizza sta diventando sempre più “territoriale”. Negli ultimi tre anni ben sette pizzerie su dieci hanno introdotto condimenti dai forti legami con il territorio: dalla mocetta in Val d’Aosta all’asparago violetto in Liguria, dal Culatello di Zibello in Emilia-Romagna alla provola d’Agerola in Campania, dal peperone crusco di Senise in Lucania alla ‘Nduja di Spilinga in Calabria, dal formaggio Piacentino Ennese al gambero rosso di Mazara del Vallo in Sicilia. Per quanto riguarda pomodoro e mozzarella, ingredienti principe della pizza, il pomodoro, dal tradizionale San Marzano, ha visto allargarsi la scelta a prodotti più di nicchia, come il “piennolo” del Vesuvio, mentre cresce la “fetta” appannaggio della mozzarella di bufala, rigorosamente da non cuocere.
Ed infine uno sguardo ai prezzi con l’indagine che si è limitata a fotografare l’andamento della margherita e della capricciosa/quattro stagioni. Il 30% delle pizzerie del campione offre la margherita a meno di 5 euro, il 62% tra i 5 e gli 8 euro, il 4% tra gli 8 e i 12 euro e il 4% oltre i 12 euro. Per quanto riguarda la capricciosa/quattro stagioni il 46% di quanti hanno partecipato alla indagine la vende tra i 5 e gli 8 euro, il 50% tra gli 8 e i 12 euro, il 4% oltre i 12 euro.
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