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BELPAESE

La natura, le tradizioni e la civiltà contadina del Trentino in “Vermiglio”, di Maura Delpero

Nessuna nomination agli Oscar, ma il film - che ha vinto la Mostra del Cinema di Venezia - racconta al mondo le nostre radici

Il prototipo ideale di tanti paesi disseminati nella vallate alpine, cesellate da chiesette, campanili e una natura che si intreccia profondamente con la storia delle persone e le tradizioni locali: luoghi che, con i loro panorami di ampio respiro e l’immancabile suono delle campane, spesso dotate di nomi propri e poteri apotropaici, ci raccontano storie di comunità e spiritualità, oltre a mettere in scena la civiltà contadina e le sue tradizioni. “Vermiglio”, il film scritto e diretto da Maura Delpero, già vincitore del Leone d’Argento alla Mostra Internazionale d’Arte cinematografica di Venezia, edizione n. 81, non ha ricevuto nessuna nomination agli Oscar (proprio oggi si è tenuta la cerimonia per l’annuncio delle candidature dell’edizione 2025, in programma il prossimo 2 marzo, ndr), ma prosegue il suo viaggio per raccontare al mondo le nostre radici, come hanno fatto altre opere che si innestano nello stesso filone cinematografico - capolavori come, tra gli altri, “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi e “Novecento” di Bernardo Bertolucci - che mette al centro la vita, la quotidianità e la cultura della civiltà contadina italiana del secolo scorso, profondamente legata alla campagna, alle piante, agli animali e ai ritmi della natura.
La pellicola è stata girata in Val di Sole, in Trentino, oltre che nel Comune di Vermiglio, paese natale del padre della regista. É ambientata durante l’ultimo anno della Seconda guerra mondiale, quando un disertore, un soldato siciliano, trova rifugio a Vermiglio, paese montano a pochi chilometri dal confine austriaco, in Trentino. La sua non è solo una fuga: ha portato in salvo, a casa, un commilitone ferito, caricandoselo sulle spalle per chilometri. Lì ha trovato un paese sospeso nel tempo, tra le nevi di una valle dove il conflitto non è mai arrivato e la vita contadina è rimasta identica a sé stessa nella sua inerzia secolare. Così, la piccola comunità accoglie il ragazzo e decide di nasconderlo, e lui si innamora, ricambiato, della figlia del maestro del paese.
“Vermiglio” è un racconto di contrasti e bellezza, dove i colori della natura si mescolano con la storia e le tradizioni locali. Dal rosso evocativo del nome alle distese di neve, dalle acque termali ai cieli stellati, ogni elemento contribuisce a comporre un quadro unico che il cinema ha saputo immortalare, con il sostegno di una comunità che crede nella bellezza e nella sostenibilità del proprio territorio.
La reale Vermiglio si trova in Val di Sole, nel cuore del Trentino occidentale: è un comune di poco più di 1.800 abitanti, a poca distanza dal Passo del Tonale. Se un tempo la sua posizione era strategica perché situata a due passi dal confine tra il Regno d’Italia e l’Impero Austroungarico, oggi lo è per chi cerca una vacanza di sport e relax tra i boschi e le montagne del Trentino. L’origine del suo nome affonda le radici nell’acqua, collegato alla divinità celtica Sulis, ma il sole lo porta nel cuore: una metafora confermata dal decennale legame sportivo con la squadra di calcio del Napoli, che ogni estate torna qui, a Dimaro, per il ritiro estivo.  Un territorio che sembra più benedetto dall’acqua che dal sole. La Val di Sole è un luogo dove le sorgenti termali offrono benefici effetti, le fonti minerali donano energia, i torrenti diventano percorsi di rafting in estate e le cascate ghiacciate si trasformano in pareti da scalare in inverno. Oggi Vermiglio si mostra ben distante dal rosso evocato dal suo nome, probabilmente legato alle caratteristiche cromatiche del terreno o a un passato intriso di leggende. Al contrario, richiama scenari bianchi e innevati, con chilometri di piste da fondo e percorsi da affrontare con le ciaspole. A poca distanza, vi sono importanti comprensori sciistici. Prima di guadagnare un posto nel firmamento cinematografico, la Val di Sole si è iscritta nella lista dei cieli più stellati e luminosi del mondo, come riconosciuto da Astronomitaly. Il film che racconta Vermiglio ha beneficiato del supporto della “Trentino Film Commission”, che ha accompagnato la produzione attraverso la certificazione Green Film: questo impegno ha permesso di realizzare un prodotto cinematografico attento alla sostenibilità ambientale, valorizzando al contempo la bellezza del territorio.
Ma “Vermiglio” è solo l’ultimo esempio, in ordine di tempo, di un filone cinematografico che ha messo in scena, negli anni scorsi, le tradizioni di un’Italia che non esiste più, la civiltà contadina dei nostri nonni e bisnonni: come “L’albero degli zoccoli” di Ermanno Olmi (1978), che racconta le storie incrociate di quattro povere famiglie contadine del Bergamasco alla fine dell’Ottocento; o “Novecento” (1976) diretto da Bernardo Bertolucci, colossal ambientato in Emilia, regione natale del regista, che affronta l’amicizia tra due uomini, il possidente terriero Alfredo Berlinghieri ed il contadino Olmo Dalcò, sullo sfondo dei conflitti sociali e politici che ebbero realmente luogo in Italia nella prima metà del XX secolo. Ma tra i registi italiani che hanno messo al centro della propria produzione il legame tra territorio, cibo e agricoltura, valorizzando con sapienza e professionalità le aree interne e rurali del nostro Paese, c’è anche Pupi Avati, come racconta anche il documentario “Pupi Avati: la tavola racconta” di Adriano Pintaldi.

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