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LA PIÚ GRANDE “IMPRESA” DEL VINO E DELL’OLIO MADE IN ITALY: CON OLTRE 500 MILIONI DI EURO DI FATTURATO IL DISTRETTO AGROALIMENTARE DEL CHIANTI CLASSICO È IL TERROIR ITALIANO A MAGGIORE REDDITIVITÁ

Italia
Chianti Classico in degustazione

Un fatturato stimabile in oltre 500 milioni di euro, che comprende un valore della produzione vinicola imbottigliata di 360 milioni di euro, un valore complessivo della produzione olivicola pari a 10 milioni di euro, un valore delle altre produzioni agricole stimabile in 90 milioni di euro, e un fatturato degli agriturismi pari a 75 milioni di euro: ecco le cifre da record del distretto agroalimentare del Chianti Classico, che vanta il primato di terroir italiano a maggiore redditività. Una grande “impresa”, di cui vino, olio e turismo sono le principali voci di bilancio, che si presenta alla prossima edizione di “Chianti Classico Collection” - evento destinato a stampa ed operatori - in programma alla Stazione Leopolda di Firenze il 17 e il 18 febbraio, confermando il vino come suo prodotto di punta, ma contando anche sull’eccellenza dell’olio e di un turismo di alto livello, in una sinergia virtuosa e necessariamente unitaria.
Il Chianti Classico è un solido distretto agroalimentare - che si estende per 70.000 ettari, di cui 7.200 vitati a Chianti Classico e 10.000 coltivati ad oliveto, per un totale di 1.200.000 piante - uno degli esempi europei più importanti di questo genere di concentrazione produttiva, in cui convergono multi-fattorialità, eredità storiche, tensioni culturali, qualità delle aziende. Negli ultimi 25 anni, il territorio del Chianti Classico ha ottenuto un successo che ha pochi equivalenti in Italia ed in Europa. Un fenomeno rapido e di misura inaspettata, ottenuto anche grazie all’abilità di interpretare le tendenze culturali più profonde della società contemporanea, intercettando gli orientamenti meno banali dei consumatori. Un successo determinato in larga misura dall’affermazione sui mercati mondiali del vino Chianti Classico, cioè di quel prodotto che meglio comprende in sé storia, cultura e identità sociale del territorio. Un vino che le strategie degli imprenditori vitivinicoli chiantigiani hanno portato costantemente ad aumentare la propria qualità e, soprattutto, hanno promosso come espressione diretta delle qualità ambientali, artistiche e culturali del territorio, vantaggio competitivo, quest’ultimo, decisivo nel riposizionamento del Chianti Classico nei segmenti più alti e difficili del mercato.
“Quella di costituire un distretto agroalimentare è una scelta - spiega Giuseppe Liberatore, direttore del Consorzio Chianti Classico - che per l’Italia, e in particolare per il Chianti Classico, non solo apre la possibilità a finanziamenti più facili, riduzioni tariffarie per opere pubbliche, maggiore tutela ambientale, ma rappresenta l’opportunità di “fare branding” insieme, diventando il perno di una nuova strategia ad hoc per le sfide sempre più impegnative che aspettano anche i luoghi più quieti del Chiantishire”.
Grazie al vino, l’economia del Chianti Classico ha realizzato una crescita che ha pochi precedenti soprattutto per una sua caratteristica peculiare: si è basata sulla valorizzazione di risorse agricole ed ambientali che un tempo non molto remoto erano sinonimo di arretratezza e povertà. Prodotti agricoli di qualità e qualità del paesaggio sono stati in grado di trasformarsi in un potente moltiplicatore economico, convertendo quelle che fino alla metà degli anni ’80 erano considerate risorse marginali in un complesso di fattori di crescita tra loro strettamente intrecciati. Basti pensare che vino e paesaggio hanno attivato un importante flusso turistico (fenomeni come quello dell’agriturismo e del turismo eno-gastronomico trovano nelle colline fra Siena e Firenze il loro luogo d’elezione) che, a sua volta, ha stimolato tutta una serie di attività collaterali, a partire dall’artigianato. A questo elemento centrale, però, vanno aggiunte da un lato la pre-esistenza di un sistema di aziende in grado di attivare risorse umane e finanziarie e, dall’altro, la presenza di una cultura di impresa distribuita su un territorio circoscritto. Caratteristiche queste, tipiche dei distretti e non facilmente riproducibili in ogni luogo d’Italia. Non secondaria, poi, la presenza sul territorio di particolari forme di organizzazione della catena del valore, capaci di conservare le peculiarità economico-produttive delle singole realtà, con l’obiettivo di integrare le relazioni tra imprese con i luoghi dove tali relazioni si formano e si sviluppano, avendo questi ultimi una nuova centralità in un contesto sempre più globalizzato. Il risultato è uno “spazio” interpretato non più come una sorgente di costo, ma come un fattore di sviluppo, in un’ottica di gerarchia e di reti fra luoghi. La cabina di regia del distretto agroalimentare, dunque, diventa un’ulteriore evoluzione della concertazione; partecipazione, individuazione delle priorità e assunzione di responsabilità le linee guida del suo operare. Il distretto non è una semplice etichetta, ma rappresenta il fulcro di un’integrazione istituzionale e produttiva, basata sulla sussidiarietà e sulla cooperazione, con l’obiettivo di consolidare e sviluppare le qualità di tutto un territorio.

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