La pizza non è green, il fish & chips nemmeno, mentre il falafel è il campione della sostenibilità a tavola. Infatti, i piatti che vengono consumati in massa nei ristoranti di tutto il mondo hanno un impatto diverso sull’ambiente, dovuto alla quantità di gas serra emessi per la produzione, all’acqua utilizzata e alla quantità di terreno impiegato. A misurarlo è il Food Sustainability Index della Fondazione Barilla, che ha analizzato diversi piatti tipici delle culture gastronomiche di paesi diversi, stilando una vera e propria classifica dei piatti dal verde di più green al rosso di quelli che inquinano troppo.
Dall’analisi si scopre che la pizza non è green. Infatti, il piatto simbolo della tradizione italiana, la classica “margherita”, a base di mozzarella e pomodoro, ha un Carbon Footprint (gas serra) di 652; un Water Footprint (acqua impiegata) pari a 412, e impiega 2,46 m2 di terreno. Ciò posiziona la pizza nella parte medio-bassa della classifica. Sul piano nutrizionale, invece, la pizza margherita resta un alimento completo, poiché contiene i tre macronutrienti principali: carboidrati, proteine e grassi. Per migliorare ancora il suo profilo nutrizionale secondo i parametri della dieta mediterranea, si può optare per quelle a base di farine di tipo 1 o 2, di tipo integrale o semi integrale.
Spostandosi nei paesi anglosassoni, il Fish & Chips, re dello street food, si posiziona a metà della classifica della sostenibilità ma non regge il confronto dal punto di vista nutrizionale specialmente per i grassi contenuti nel fritto che subiscono alterazioni se portati a elevate temperature come nella frittura.
In Francia, invece, vede nella classica insalata nizzarda, preparata con fagiolini, peperoni ma anche tonno e uova un’alternativa fresca e valida: una porzione da 100 grammi “pesa” appena 64 grammi di CO2 e si trova nella zona più sostenibile della classifica di sostenibilità ambientale, quella contrassegnata dal colore verde scuro.
In Spagna, la Paella rappresenta un piatto completo dal punto di vista nutrizionale e ha anche una buona performance dal punto di vista della sostenibilità: per 100 grammi di paella servono quasi 2 metri quadrati di terreno e 241 litri d’acqua.
In Portogallo, il classico Pasteis de Bachalau (crocchetta di baccalà) genera 170 grammi di CO2 per 100 grammi di prodotto, mentre con il baccalà alla brace diventano 250. Entrambi si situano nella parte medio-bassa della classifica.
In Croazia la pašticada, uno dei piatti più famosi della Dalmazia, a base di carne di vitello, richiede 15 m2 di terreno e 2.300 litri d’acqua. Ciò lo pone nella parte più negativa della classifica, contrassegnata dal colore rosso. Per contro, la Croazia è un Paese che sta facendo molto per essere più sostenibile: c’è ancora molto da fare in materia di risposte politiche al problema dello spreco di cibo nella filiera dal produttore al supermercato, ma può vantare una buona biodiversità e uno spreco di cibo a livello individuale un po’ più contenuto (56 kg/l’anno, mentre in Italia sono 65).
In Grecia, la moussaka, può considerarsi sostenibile, richiedendo 241 litri di acqua per 100 grammi e trovandosi nella zona verde della Piramide Ambientale.
In Marocco, il cous-cous a base di agnello rappresenta un piatto non molto sostenibile, infatti per 100 grammi servono 548 litri d’acqua, il che lo situa nella fascia arancione. Sarebbe preferibile scegliere la sua versione vegetariana, risparmiando 50 litri d’acqua a porzione.
Il campione di sostenibilità nel piatto è il falafel, il piatto a base di ceci tipico di Israele e dei paesi mediorientali, tra cui Egitto e Libano, con i suoi 101 m2 di CO2 per porzione e il suo colore verde nella Piramide Ambientale.
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