Se non siete mai stati in Russia, mettete da parte i pregiudizi, perché la Mosca e la San Pietroburgo di oggi stanno vivendo un momento di fermento eccezionale, economico, culturale e, soprattutto, enogastronomico. Ristoranti e wine bar animano la scena fino a notte fonda, ma ciò che più sorprende è scoprire che lo stereotipo del russo benestante che sceglie il vino in base al prezzo o al prestigio sociale è un fenomeno poco più che marginale. I giovani, ma non solo, viaggiano ormai su tutt’altro binario: amano sì le grandi etichette, ma non si accontentano, studiano, scoprono, si lasciano ammaliare dalle sirene dei vini naturali, che ormai popolano le carte dei vini dei locali alla moda, e soprattutto riescono a muoversi con competenza tra centinaia di etichette, guidati da sommelier spesso giovanissimi ma dal sapere enciclopedico, capaci di snocciolare in quattro e quattr’otto ogni sotto zona di Bordeaux come la storia di famiglia di vignaioli toscani più o meno noti.
Certo, locali esclusivi e grandi ristoranti non sono esaustivi di un panorama ben più complesso, in cui la maggior parte dei consumi enoici passa ancora per gli scaffali della Gdo, dove il prezzo medio è piuttosto basso (sui 5 euro a bottiglia, ndr), eppure, il vertice di questa piramide è quanto di più articolato e avanguardista si possa trovare in giro per il mondo. Proprio tra San Pietroburgo e Mosca, ma questo vale un po’ per chiunque faccia business con il wine & food in Russia, Artem Tskhakaia e Vladimir Basov nel 2014 hanno pensato e realizzato “Big Wine Freaks”, un luogo in cui i vini naturali incontrano la musica elettronica, il design (italiano, manco a dirlo) ed una cucina ricercata. Un format difficilmente replicabile altrove, come racconta a WineNews Artem Tskhakaya, che a San Pietroburgo, con la “Vinny Sklad”, distribuisce vino naturale e organico in tutta la città, per un giro d’affari complessivo di 2 milioni di euro, con oltre 5.000 etichette diverse e tanta Italia, “ma solo quella dei vignaioli che producono i propri vini in maniera tradizionale, sfuggendo alle mode ed alle esigenze del mercato”. Difficile chiamarla nicchia, se si pensa che a Mosca, come spiega il suo socio, Vladimir Basov, “ogni mese vendiamo 3.000 bottiglie, nei week end il locale pullula di giovani”. Questa coppia di imprenditori, però, non si è limitata a riempire i calici dei giovani russi di vini biodinamici, ma ha portato sulle tavole un concetto di filiera corta mai visto prima: a “Beef Zavod”, nel centro della città, le griglie sono sempre accese, e cariche di filetti e bistecche di vitelli macellati e frollati all’interno dello stesso ristorante (seguendo le orme di un maestro d’eccezione, Dario Cecchini).
Ma se c’è una persona, in Russia, che ha fatto da guida e da esempio per tutti, quando si parla di vino italiano, ed più giovani non fanno alcuna fatica a riconoscerlo, questi è Aram Mnatsakanov, che abbiamo incontrato in uno dei suoi locali di Mosca, il “Probka”. Cucina rigorosamente italiana, “perché l’Italia è da sempre il mio Paese preferito, almeno da quando, 25 anni fa, ho iniziato ad importare vini italiani, per poi aprire il primo “Probka” a San Pietroburgo. Ricette classiche della cucina italiana, ma con prodotti russi, come le tagliatelle con il caviale nero. Nella nostra carta dei vini, ci piace avere piccoli produttori, che conosciamo di persona, ma questo non toglie spazio ai grandi marchi, che la gente continua ad amare. Del vino italiano - mette in guardia Aram - non ci piace quando si cerca di seguire la moda senza capire che le unicità del Belpaese e dei suoi territori è esattamente ciò che ci piace dell’Italia, non quando cerca uno stile internazionale. L’emozione delle radici e delle piccole varietà di Sicilia, Toscana, Abruzzo, ecco cosa ci piace e cosa rende il vostro vino il più amato e bevuto in Russia”.
Tra i “figli”, se così si può dire, di Aram Mnatsakanov, c’è anche Mikhail Sokolov. Ma la sua è una storia diversa, di enorme successo imprenditoriale, e nata tra i fornelli. “Quando avevo 18 anni, nel 1998, a San Pietroburgo c’erano forse tre ristoranti di un certo livello in tutta la città, così - racconta - scelsi l’Italia per imparare a cucinare, lavorando per anni a ritmi infernali per 6 anni. Tornato in Russia, ho continuato per qualche anno a fare il cuoco, prima di aprire il mio primo ristorante italiano, nel 2009”. Un concept business oriented, “pensato per una clientela di medio livello, che nell’arco di qualche anno è diventato “Italy Group”, un gigante che oggi conta più di 20 ristoranti. In carta abbiamo solamente vini italiani, è una carta ridotta, fatta non di grandi vini come Ornellaia, Sassicaia e Masseto - o ancora dal Tignanello al Solaia di Antinori ai grandi Barolo, su tutti Gaja e Giacomo Conterno, senza dimenticare le griffe del Brunello di Montalcino, come Biondi Santi e Soldera - ma proponiamo bottiglie di prezzo medio, il che non vuol dire rinunciare alla qualità, dal Prosecco al Chianti, senza però seguire le mode, come quella dei vini naturali e dei rifermentati in bottiglia”.
Esempio di alta ristorazione, che segue canoni più classici, è quello del “Maritozzo” di Mosca: il nome lascia poco spazio alla fantasia, la cucina è italiana, tanto che, come confida Sergey Golubev, direttore di sala del ristorante, “nonostante le sanzioni imposte da Mosca riusciamo comunque a non fare a meno dell’insostituibile Parmigiano Reggiano”. Che qui arriva per vie traverse su cui forse è meglio non indagare. Nessun problema, invece, sul fronte enoico, con “una carta dei vini che conta 600 referenze, di cui una buona metà italiane. Toscana, Piemonte e Sicilia sono le Regioni più rappresentate, e credo di poter dire che l’Etna sia la vera novità: la parte orientale dell’isola, in generale, sta vivendo davvero un grande successo”. Caustico, invece, il giudizio sui vini naturali: “ne abbiamo molti, ma ho come l’impressione che sia una moda, non credo che la gente si renda realmente conto di cosa stia bevendo”.
Infine, in questo viaggio tra chi sta facendo grande il vino in Russia, la storia di Jelizaveta Stahanova, che dalla Lettonia, giovanissima, nel 2013, ha aperto “Wine Religion”, anche lei a Mosca, “per spirito di ribellione, venendo da una famiglia di artisti, e per passione. Una passione - dice ripercorrendo le tappe della sua avventura - cresciuta di pari passo con il locale, dove oggi abbiamo 600 etichette diverse, di cui 35 al bicchiere. Una buona metà sono italiane, selezionate tra tipologie e Regioni diverse, seguendo però le tendenze di consumo, quindi proponendo vini biodinamici e naturali e tante bollicine. La Toscana è la nostra numero 1, anche se la mia varietà preferita è senza dubbio il Nebbiolo, ma mi piacciono molto anche i metodo classico come il Franciacorta, che però sul mercato russo è davvero difficile da vendere”.
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