“Non stiamo combattendo la battaglia della concorrenza ad armi pari: tra Vecchio e Nuovo Mondo del vino esiste oggi un’enorme differenza normativa, che imbriglia noi e concede agli altri la più ampia libertà”: Gianni Zonin, il più grande produttore italiano - con 11 tenute e oltre 1.800 ettari vitati - interviene per chiedere l’adeguamento della legislazione vinicola tra l’Europa e i Paesi extraeuropei, pena una dura sconfitta nella battaglia della concorrenza internazionale. “Siamo di fronte ad una sfida decisiva - spiega Gianni Zonin - o i Paesi del Nuovo Mondo vitivinicolo si adeguano alle normative europee, oppure noi europei dobbiamo essere liberati da un eccesso di vincoli. In questo modo ci troviamo esposti gravemente al rischio di essere come un pugile che chiamato a battersi per il titolo mondiale si trova a dover affrontare l’avversario con una mano legata dietro la schiena”. L’altro problema urgente sul quale Gianni Zonin richiama la massima attenzione è il rinnovamento del “vigneto Europa”, ormai obsoleto: “Per ripiantarlo occorre un enorme sforzo finanziario - commenta il produttore, che guida una delle aziende del vino italiano più conosciute nel mondo - Da un calcolo approssimativo, solo in Italia, richiederebbe un investimento pari a 25 miliardi di euro. Infatti dei 750.000 ettari in produzione, solo 250.000 sono stati rinnovati. Per i restanti 500.000 ettari, calcolando per il rinnovo un costo medio di 50.000 euro ad ettaro, si arriva ai 25 miliardi di euro totali. E’ ovvio che le aziende viticole da sole non ce la possono fare, occorre che l’Unione Europea si attivi con finanziamenti ad hoc per ricostituire i nostri “beni strumentali”. Sarebbe auspicabile che l’Ue mettesse a disposizione almeno il 50% delle risorse. Se non si risolvono almeno queste due questioni più urgenti non si possono fronteggiare le sfide del mondo vinicolo italiano nel terzo Millennio”.
“Oggi - continua Zonin - il mondo del vino è spaccato in due segmenti: da una parte sta l’Europa, la culla tradizionale del vino, dall’altra sta quello che ormai chiamiamo il “Nuovo Mondo”, rappresentato dai Paesi emergenti del settore, Australia, California, Cile, Argentina e Sudafrica. La sfida che si presenta per i prossimi anni non è possibile sostenerla da soli, nel ridotto dei nostri mercati nazionali, ma si deve articolare la risposta in termini di “sistema europeo”, che pur salvaguardando le diversità e le necessarie peculiarità, dia luogo ad un’azione comune di tutti i produttori. Se infatti guardo all’Italia trovo aziende troppo piccole, vigneti troppo vecchi e al contempo contrazione della superficie vitata, un mercato sempre più selettivo e una sempre minore quantità di vino consumata pro-capite, un eccesso di normazione e un’insufficiente tutela delle denominazioni, una competizione sempre più agguerrita che le singole aziende devono sostenere sul mercato globale e una inefficienza del “sistema Paese” dovuta alla polverizzazione aziendale che non è in grado di far penetrare il vino italiano sui mercati emergenti. E ciò che vedo in Italia non mi pare, fatte le debite proporzioni, che sia molto diverso da quanto accade nel resto d’Europa, anche se con minore gravità.
Invece nel Nuovo Mondo territori che non avevano mai conosciuto la viticoltura, se non residuale e importata dagli emigranti, oggi stanno producendo grandi quantità di vino e soprattutto stanno piantando decine di migliaia di ettari ogni anno. Se proviamo a disegnare una sorta di mappamondo del vino vediamo che l’Unione Europea è passata negli ultimi trenta anni da circa il 70% dell’intera superficie vitata mondiale al 50% circa. I più radicati tra i Paesi del Nuovo Mondo del vino, come Stati Uniti, Australia ed Argentina, stanno arrivando a volumi produttivi direttamente concorrenziali con Italia, Francia e Spagna. Se non ci rendiamo conto di questa nuova geografia vitivinicola e se non capiamo che i rapporti di forza stanno radicalmente cambiando non potremo mettere in atto nessuna azione di contrasto a questa espansione sia produttiva sia commerciale”.
“Prima di tutto occorre rivedere la normativa - sottolinea Gianni Zonin - In Australia, ma anche negli Usa e in tutto il Sud America, sono consentite pratiche di cantina da noi severamente vietate, non ci sono vincoli alla messa a dimora dei nuovi vigneti e alle quantità di vino prodotte, e per conseguenza gli ettari di vigna in produzione sono soltanto regolati dal mercato. Il costo dei terreni di gran lunga inferiore consente a queste cantine di lavorare “secondo mercato”. Invece il regime delle quote dell’Europa non ha consentito la stessa flessibilità alle nostre cantine. In Italia esiste l’obbligo del diritto di reimpianto, addirittura vincolato all’interno dei confini di ogni regione. Se guardo all’Italia vedo una contrazione del vigneto sempre più marcata: siamo passati nel volgere di un ventennio da oltre un milione di ettari a meno di 800 mila ettari.
Mentre l’Europa vincolava sempre di più le produzioni, i nostri competitors ci aggredivano con vini sempre pronti, sempre uguali, con grande flessibilità nel poter soddisfare la domanda e con un dumping sui prezzi favorito anche dai minori costi di gestione delle loro aziende. Si pensi alle vendemmie meccaniche, si pensi alla minore incidenza dell’investimento fondiario, si pensi alla possibilità di pratiche enologiche che consentono di “modellare” i vini e quindi di avere non tanto vini di territorio ma piuttosto vini-bevanda.
Il risultato è che oggi i Paesi del Nuovo Mondo detengono una notevole quota del fatturato mondiale del vino, ma con incrementi che viaggiano a percentuali a cifra doppia. E oltretutto in Europa si concentra la maggior parte delle eccedenze e si assiste ad una contrazione dei consumi (e l’allarme ancora una volta suona per noi europei: qui da noi si beve meno, mentre nel resto del mondo il consumo di vino si incrementa, con il piccolo particolare che quel resto del mondo è servito sempre più dai nostri competitors)”.
“Dunque le priorità sono: l’armonizzazione della legislazione mondiale a quella europea con la diffusione del criterio della territorialità e l’imposizione di regole comuni nelle pratiche di campo e di cantina, e il sostegno al rinnovamento del “vigneto Europa”, chiedendo alla Ue di finanziare il miglioramento del nostro patrimonio viticolo rimborsando al viticoltore il 50% del costo. Questi gli interventi urgenti che servono, che costituiscono le fondamenta su cui poggiare il futuro della nostra vitivinicoltura. Credo che solo così facendo - conclude Gianni Zonin - il vino europeo potrà affrontare con successo la sfida della globalizzazione, e l’Europa potrà restare, come è stata sempre, il primo produttore di vino nel mondo”.
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