La notizia, che non è più una notizia, è che l’Italia aspetta ancora il suo primo Master of Wine, moderno ed enoico Godot destinato, chissà, a rimanere tale. Ormai, l’Istituto britannico nato più di 60 anni fa per formare i massimi esperti del vino al mondo, annovera tra le sue fila ben 380 Masters of Wine, da 30 Paesi diversi, ma nessuno, appunto, dal Belpaese. Neanche tra gli ultimi 10 che ce l’hanno fatta, nominati solo qualche giorno fa, dove hanno invece trovato spazio la prima winemaker greca, Olga Karapanou Crawford, e la prima donna Master of Wine di Spagna, Almudena Alberca (che va a fare compagnia a Pedro Ballesteros, Andreas Kubach e Fernando Mora). Eppure, le Master Class che l’Institute of Master of Wine tiene in Italia da anni sono frequentatissime. Che il corso, totalmente in inglese, particolarmente oneroso, sia in termini di costi che di tempo, sia ancora una montagna insormontabile per gli esperti del Belpaese? Strano, in un Paese in cui il vino è un fatto culturale dal peso assoluto, ma è pur vero che il profilo di chi, all’estero, decide di intraprendere la scalata al Master of Wine, è spesso di altissimo livello: tra i nuovi volti dell’Istituto, ad esempio, c’è Tim Triptree, direttore del settore vino di Christie’s. E se, più prosaicamente, non facesse per noi?
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