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SCENARI & PREVISIONI

Mediobanca: nel 2024 per i big del vino italiano aumenteranno vendite (+2,6%) ed export (+3%)

Nel 2023, best performer per fatturato Cantine Riunite-Civ, Argea e Iwb-Italian Wine Brands, per redditività Frescobaldi, Santa Margherita e Antinori

I maggiori produttori di vino italiano si attendono per il 2024 una crescita delle vendite complessive del +2,6%, e del +3% per l’export. Non si arresta l’ottimismo per le bollicine (grazie al +3,7% di ricavi complessivi), soprattutto oltreconfine (+6,8% l’export), mentre per i vini fermi ci si aspetta un +2,3% (+2,2% l’export). Il 2023, del resto, si è chiuso senza variazioni significative (-0,2% sul 2022) con un leggero peggioramento sul mercato interno (-0,7%) rispetto a quello estero (+0,3%), dove spiccano le buone performance dei vini frizzanti (+2,5%). L’Ebit margin ha riportato un aumento dell’1,4% sul 2022, con un rapporto tra il risultato netto e il fatturato del 4,2%. E questo nonostante una diminuzione del 4,5% dei quantitativi venduti su tutti i canali, e l’inflazione che ha eroso il potere di acquisto delle famiglie penalizzando i vini di fascia intermedia (-10,1% sul 2022) a conferma di una maggiore polarizzazione del mercato. In leggero calo i vini di fascia bassa (-1,7%, con una market share del 44,2%), a fronte di un mercato sempre più premium (+12,7% i vini di fascia molto alta sul 2022; market share del 18,6%) e sostenibile (+1,4% i vini biologici, 5,4% di market share; +9,6% i vini vegani, 2,7% market share, +1,8% i vini naturali, m.s. dell’1%). A dirlo è l’Indagine sul settore vinicolo in Italia dell’Area Studi Mediobanca, che riguarda 253 principali società di capitali italiane con fatturato 2022 superiore ai 20 milioni di euro e ricavi aggregati per 11,8 miliardi di euro, pari all’88,4% del fatturato nazionale del settore, con focus sui vini Dop e Igp, sulle principali operazioni di M&A e sulla sostenibilità.
In particolare, guardando alle imprese italiane best performer, la leadership di vendite nel 2023 resta appannaggio del gruppo Cantine Riunite-Civ, con fatturato a 670,6 milioni di euro (-3,4% sul 2022). Al secondo posto si conferma il polo vinicolo Argea (449,5 milioni, -1,2%), seguita da Iwb-Italian Wine Brands, con 429,1 milioni (-0,3% sul 2022). Fatturato 2023 superiore ai 400 milioni di euro anche per la cooperativa romagnola Caviro (423,1 milioni), in progresso dell’1,4% sul 2022. Sette società rilevano ricavi compresi tra i 200 e 300 milioni di euro: la cooperativa trentina Cavit (fatturato 2023 pari a 267,1 milioni di euro, in aumento dello 0,9% sul 2022), la veneta Santa Margherita (255,4 milioni di euro, -2%), la toscana Antinori (250,3 milioni di euro, +1,9%), La Marca, specializzata nella produzione di spumanti, con fatturato 2023 pari a 225,8 milioni di euro (-4%), la piemontese Fratelli Martini (219,6 milioni, +1,1%), la trentina Mezzacorona (217,7 milioni, +2%) e il Gruppo Collis che, ampliando il proprio perimetro, ha raggiunto 209,4 milioni di euro, (+64,8% sul 2022). Osservando la redditività (rapporto tra risultato netto e fatturato), il 2023 vede in testa la toscana Frescobaldi (29%) seguita dalla veneta Santa Margherita (18,5%). Chiude il podio Antinori con un utile su fatturato del 17%, in aumento di 2,6 punti percentuali sul 2022. Alcune aziende hanno una quota di export molto elevata, in alcuni casi quasi totalitaria: Fantini Group tocca il 96,4%, Ruffino il 91,1%, Argea l’89,9%.
Nel complesso, guardando allo scenario mondiale, nel 2023 la produzione mondiale di vino è stimata in 237 milioni di ettolitri, in forte calo sul 2022 (-9,6%). Il consumo mondiale in 221 milioni di ettolitri (-2,6%). La rimodulazione della domanda, indotta dal ricambio generazionale e dal diffondersi di modelli salutistici così come dai cambiamenti climatici, hanno causato un calo dei consumi di vino rosso, passati da una quota del 51,3% medio nel periodo 2000-2004 al 48,3% del 2017-2021. In controtendenza i consumi di vini bianchi (dal 40% al 42,2% +2,2 punti) e quelli di rosé (dall’8,7% al 9,5%+0,8 punti). L’Italia segue la tendenza mondiale registrando -23,2% nella produzione rispetto al 2022 e -1,6% nei consumi, con 37,4 litri pro-capite all’anno). In attivo per l’Italia il saldo commerciale: in 20 anni è cresciuto a un tasso medio annuo del 5,5%, passando da 2,5 miliardi di euro del 2003 ai 7,2 nel 2023. L’Italia è il primo esportatore di vino in quantità (21,4 milioni di ettolitri nel 2023) e il secondo per valore (7,7 miliardi di euro dietro solo agli 11,9 miliardi della Francia).
Fiore all’occhiello, nel 2023 il 47,7% del vino italiano è Dop (Doc e Docg), in aumento dal 38,5% del 2013. Calano i vini Igp dal 35% del 2023 al 27% del 2023, avvicinandosi ai vini da tavola (25,3% nel 2023). A fare la parte del leone il Piemonte con 19 Docg e 41 Doc, la Toscana (11 Docg, 41 Doc e 6 Igt) e il Veneto (14 Docg, 29 Doc e 10 Igt). In Toscana si concentra il 39,3% della produzione di vini Dop; in Piemonte il 94,6% della produzione regionale è Dop. Complessivamente, il valore delle Dop e Igt imbottigliate è pari a 4,3 miliardi di euro in Veneto, seguito dal Piemonte con 1,4 miliardi e dalla Toscana con 1,2 miliardi. Le eccellenze regionali spingono i bilanci delle aziende: alle aziende toscane tocca il più alto Ebit margin (16,5%) e il miglior Roi (6,3%), Veneto e Piemonte in seconda posizione (entrambe 6,1%). In Toscana anche la maggiore solidità finanziaria, con i debiti finanziari pari ad appena il 18,4% del capitale investito. Grandi esportatori i produttori piemontesi (64,5% del fatturato) e toscani (60,6%). Nel 2023 l’export ha trainato la crescita delle imprese friulane (+6,1% le vendite complessive e +22,3% oltreconfine), lombarde (+4,4%; +7,4%) e dell’Emilia-Romagna (+1,6%; +8,6%). Ottimismo per il 2024 per l’Emilia-Romagna (+4,6%), Puglia (+4,3%) e Piemonte (+4,2%).
La “Carta d’identità” delle imprese, indica come al controllo familiare spetta il 64,8% del patrimonio netto, quota che sale all’81,4% se si considerano anche le cooperative. Gli investitori finanziari partecipano al 10,9% dei mezzi propri: le banche e assicurazioni (5,2%) sono assenti nelle imprese più piccole, mentre i fondi di private equity (4,1% del patrimonio netto) partecipano nei capitali delle principali imprese vinicole indipendentemente dalla loro dimensione. Al diminuire della dimensione cala anche l’incidenza di possesso non italiano, pari al 7,6% dei mezzi propri. Trascurabile il rapporto con i mercati finanziari: solo due società sono quotate all’Aim dal 2015 (Masi Agricola e Iwb).
Nettamente da migliorare, infine, la sostenibilità: solo il 34,9% delle maggiori imprese vinicole italiane redige un Bilancio di Sostenibilità (38,6% i produttori con più di 50 milioni di fatturato). Le principali motivazioni sono la complessità del processo di validazione o consuntivazione (per il 26,8% delle imprese), mancanza di benchmark o best practice di riferimento (14,3%) la difficoltà a coinvolgere le funzioni aziendali rilevanti e carenza di competenze specifiche (10,7%).

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