Dare ancora più valore e dignità al cibo, non solo a chi lo trasforma come gli chef, ma anche e soprattutto a chi produce la materia prima, ai contadini; tutelare il suolo e la terra, prima risorsa fondamentale per l’uomo e l’agricoltura; contrarre i consumi nelle parti del mondo dove sono eccessivi, e cercare di ridistribuirli dove c’è scarsità di cibo; pensare che le grandi questioni legati all’agricoltura e all’alimentazione non sono più questioni nazionali, ma mondiali; pensare all’export, ma anche ad un made in Italy che ha valore solo se prima si consuma in Italia, e che deve servire anche a rivitalizzare i nostri borghi “che non hanno più anima”; far dialogare di più il sapere accademico e scientifico con quello empirico e non meno importante dei contadini del mondo: ecco, in estrema sintesi, i messaggi e le riflessioni di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food, “uomo che meriterebbe il Nobel per la Pace”, ha detto l’Assessore all’Agricoltura del Piemonte Giorgio Ferrero, in apertura di Terra Madre e Salone del Gusto (dal 20 al 24 ottobre a Torino), l’evento principe di Slow Food.
“È con grande gioia ed emozione che apro questa ottava edizione di Terra madre e dodicesima del Salone. 22 anni fa la sensibilità sulle tematiche del cibo non era assolutamente paragonabile ad oggi. Questo comparto 22 anni fa non godeva dell’attenzione mediatica e del prestigio che ha oggi. In apertura della prima edizione dissi che quando il cibo avesse avuto la stessa attenzione della moda, avremmo risolto un problema di valorialità del cibo. Ci siamo arrivati, forse, anche troppo: non se ne può più - ha detto Petrini - di questi spettacoli televisivi con gente che a tutte le ore spadella, delira, le dice di tutti i colori. Non è giusto che tutta questo attenzione sia solo per gli chef, che pur fanno un lavoro meritevole, e poi soprattutto maschi, quando la cultura del cibo in tante parti del mondo è fatto da donne, contadine, che sono la spina dorsale del sistema agricolo. Dall’Africa, dove fanno chilometri per portare acqua nei campi, ma anche nel nostro Piemonte di qualche anno fa: senza di loro nelle campagne non avremmo avuto tutti questi tesori, questo patrimonio”.
Di certo, in questi due anni, sottolinea Petrini, è stata riconosciuto il valore del cibo, ma non c’è ancora la piena coscienza che serve una filiera alla base che deve garantire il benessere di tutti.
“Fa bene il Ministro delle Politiche Agricole, Gian Marco Centinaio, a dire che dobbiamo aiutare i produttori italiani, se pensiamo a quanto costa un prodotto e quanto va al contadino. Ci dobbiamo vergognare, come Paese, che il grano sia pagato come 30 anni fa, che le carote all’agricoltore siano pagate 7 centesimi al chilo. Ma non è un problema italiano o di ogni singola nazione, ma mondiale. Il cibo coincide con le speranze dei nostri produttori se cambia il paradigma, che oggi è perverso. Nel 2004 l’idea di Terra Madre, che era una rete di 70 Paesi, e oggi è fatta da 150 in ogni angolo del pianeta, ci ha portato a confrontarci su questi temi in maniera globale. Perchè il mondo non è tutto uguale, c’è una diversità è fortissima, e ci sono tante sfide, per esempio, sul fronte del cambiamento climatico, che riguardano il cibo. Basta pensare che l’effetto serra è causato al 34% dall’agricoltura e dall’alimentazione, dagli allevamenti intensivi, mentre solo il 17% dipende dalla mobilità. Quindi nostri comportamenti alimentari possono incidere eccome”.
Come, per esempio, dice Petrini, il tema del consumo della carne. “Slow lancerà una campagna in Italia, Usa ed Europa perché si riduca al 50% a livello individuale il consumo di carne, non solo per l’effetto serra, ma perché fa male. Quando ero giovane se ne consumavano 22 chili procapite, oggi siamo oltre 90 chili, ma non fa bene, ce lo hanno detto in tutte le salse, l’Oms l’ha detto in maniera chiara e univoca. In Usa il consumo è a 120 chili. Possiamo ragionare su una contrazione, su una riduzione dei consumi. Ma anche sulla convergenza: noi dobbiamo ridurre i consumi ma se lo diciamo agli africani, che di carne ne mangiano 5 chili all’anno, ovviamente il discorso non torna. Dobbiamo ragionare su questo”.
Un altro grande tema, secondo Petrini, è quello della sostenibilità dell’agricoltura.
“Quando dico che l’agricoltura Bio non riceve neanche il 3% dei contributi complessivi di Ue e Italia, dico che sarebbe il caso di aiutare di più i produttori, perché loro sono virtuosi. E siccome tutto è connesso, dico che una delle prime cose da fare in Italia è riprendere in mano legge di tutela dei suoli che da 4 anni è vergognosamente ferma in parlamento. La cementificazione sta creando sconquassi, alluvioni, intasamenti ogni volta che piove. Dobbiamo tutelare la nostra terra, non violarla continuamente come non avviene da nessuna parte in Europa. Non si fa manutenzione del suolo, ma anche questo è cibo, perché i presìdi sui territori sono i nostri contadini, loro preservano i territori. Nelle Langhe quando pioveva tanto si diceva che i contadini portavano a spasso l’acqua, tenevano la pulizia del bosco. È un lavoro che va riconosciuto e pagato ai contadini. Se loro preservano il territorio, e devono farlo, devono avere anche dei riconoscimenti”.
Territori che poi, grazie all’eccellenza delle produzioni italiani, arrivano nel mondo.
“Ed io sono felice che il Ministero lavori per tutelare il made in Italy facendo accordi con Amazon e Alibaba, perchè è vero che gli accordi si fanno anche con i nemici. Ma mi chiedo anche: è mai possibile che nei nostri borghi di montagna e di pianura non esistano più botteghe, che questi luoghi non abbiano più un’anima, che non ci siano luoghi dove si possono comprare prodotti del territorio? Sta succedendo ovunque. Ed il made in Italy ha senso e valore se prima lo consumano gli italiani in Italia, e che lo paghino per quello che vale, altrimenti non siamo credibili.
Io sogno piccole botteghe multifunzionali nei borghi, gestiti da giovani, con il sorriso, che aiutino il turista, perché dove non c’è profumo di pane non c’è più anima”.
Infine, il grande tema del sapere. “Terra Madre non è solo questi giorni a Torino, ma è tutto l’anno, e la grande sfida è quella di far dialogare i saperi del contadino con i saperi accademici, un’“Università diffusa” che ha sede anche in cascine e caseifici. I contadini sono depositari di conoscenza, di lavoro empirico di generazioni. E forse non siamo noi a dover aiutare i contadini, ma loro ad aiutare noi”.
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