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Pubblicità di alcolici, giovani europei e media: secondo uno studio pubblicato sulla rivista scientifica “Addiction”, il rapporto tra esposizione e consumo c’è, travalica culture e norme nazionali e pone il problema di una nuova legislazione europea

Nonostante il fatto che esista una normativa europea che disciplina il marketing delle bevande alcoliche, la “Audio Visual Media Services Directive”, essa riguarda solo il contenuto dei messaggi promozionali, e non la loro quantità. E, stando a uno studio pubblicato sulla rivista scientifica “Addiction”, la pubblicazione ufficiale della “Society for the Study of Addiction” (http://goo.gl/vf9CXY), e dalla metodologia innovativa sotto più punti di vista, la necessità di regolare anche la quantità di questi messaggi è decisamente necessaria, dato che gli autori hanno rilevato una correlazione positiva tra l’esposizione ai messaggi promozionali di bevande alcoliche e il loro consumo da parte dei teenager europei - e questo indipendentemente dalle culture e delle normative nazionali.
Lo studio è stato condotto su un campione di 9.075 adolescenti, provenienti dalle scuole statali di quattro paesi europei: l’Italia, con le province di Milano e Cuneo, ne ha fornito la maggioranza relativa, con il 31%, seguita dalla Polonia (27%), dai Paesi Bassi (22%) e dalla Germania (20%), l’età mediana dei partecipanti era di 14 anni circa e il 49.5% erano maschi. E sono tre i fattori che lo rendono di particolare interesse, ovvero questa sua transnazionalità, la sua durata nel tempo - tre fasi distinte, dal novembre del 2010 all’aprile del 2012, e questo “coprendo” cumulativamente anche i vari tipi di media utilizzati per la promozione - e infine il fatto che lo studio ha analizzato sia l’effetto che il marketing ha sul consumo che la possibilità che possa avvenire anche il contrario.
I ricercatori, capitanati da Avalon de Bruijn, membro dello “European Centre for Monitoring Alcohol Marketing”, hanno preso atto del fatto che la promozione online ha un peso sempre più rilevante, visti i cambiamenti nella dieta mediale delle nuove generazioni europee, e hanno anche sottolineato il ruolo crescente degli oggetti “brandizzati” come veicolo associativo, includendo anche social media e eventi sportivi (come un campionato di calcio) all’elenco dei fattori che, direttamente o meno, sono considerabili come marketing degli alcolici.
Dato non da poco, i ragazzi del campione tendevano a sottostimare la quantità di stimoli ricevuti in relazione alla promozione e al consumo di birra, vino, spirits, soft drink alcolici e così via, e i dati relativi alle tredici categorie di veicolo promozionale considerate lasciano poco spazio all’immaginazione, con oltre i due terzi del campione totale che ha ad esempio notato costantemente, nel corso dei diciotto mesi coperti dallo studio, pagine web contenenti pubblicità di questo tipo, mentre oltre il 40% ha ricevuto oggetti promozionali con brand del mondo dell’alcol, e quasi il 40% ha ricevuto offerte promozionali su prodotti alcolici.
Queste sono solo le cifre più notevoli dello studio, ma le conclusioni del team di ricercatori non lasciano molto spazio all’immaginazione. Le prove empiriche di una correlazione fra messaggi promozionali specificamente dedicati ai prodotti alcolici, e il loro consumo da parte dei giovani facenti parte del campione, ci sono, sono positive e sono relative a una correlazione univoca; e inoltre, l’esposizione a questi messaggi (e non, puntualizzano i ricercatori, a quelli promozionali tout court) può anche ingenerare una “spirale regressiva” nella quale i due fenomeni si autoalimentano a vicenda, specialmente se il giovane destinatario già beve.
Nelle conclusioni dello studio, gli autori tornano all’unica direttiva europea che disciplina la materia, la “Audio Visual Media Services Directive”, e indicano che i risultati del loro studio confermano la necessità che sia necessario non solo moderare il contenuto dei messaggi promozionali di questo tipo, ma soprattutto la loro quantità, per diminuire l’esposizione dei cittadini europei di domani a questo tipo di pubblicità, in tutte le sue variegate forme. Nelle parole, di certo non ambigue, di de Bruijn, “non è più questione di limitare le sole pubblicità televisive: gli attori politici devono prendere in considerazione i piani di marketing dell’intera industria dell’alcol nella loro totalità, e creare misure che riducano tutti i tipi di messaggi promozionali di questo tipo”.

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