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Vino: Borsa e nuove idee per vincere sul mercato globale ... Se l’azienda vitivinicola italiana vuole vincere la sfida del mercato globalizzato deve “fare sistema” e guardare a nuovi strumenti finanziari. E’ l’opinione degli esperti che si sono dati appuntamento al Salone del Vino, kermesse di quattro giorni dedicata ad addetti ai lavori ed enoappassionati che ha aperto i battenti ieri al Lingotto di Torino. Nel 2006 l’export di vino italiano ha raggiunto la cifra record di 18,5 milioni di ettolitri, per un controvalore superiore ai 3,2 miliardi di euro. Ma ci sono i mercati emergenti, come Cile ed Australia, e il super-euro che per mercati tradizionali come gli Stati Uniti rappresenta un freno. Insomma, la competizione è sempre più forte, e la realtà italiana deve fare i conti con una miriade di aziende - circa 40.000, secondo i dati di Unione italiana vini - che spesso non superano i 6 ettari di superficie. Tra i nuovi strumenti a cui guardare c’è la quotazione in borsa, di cui ieri ha parlato nel corso del convegno inaugurale organizzato da Promotor International Anna Clauser, relationship manager per il Piemonte di Borsa Italiana. “Noi monitoriamo 56 società nel settore vitivinicolo. All’interno di questo campione ... una decina hanno i numeri per essere quotate subito”, ha detto Clauser a Reuters. Avere dimensioni piccole e medie non è necessariamente un ostacolo: “Nel mercato Expandi la mediana del fatturato è di 40 milioni di euro“, con società che hanno fatturati tra i 14 e il 50 milioni. Il fatto che Borsa Italiana abbia individuato una decina di società che potrebbero quotarsi subito “non significa che queste siano interessate”, precisa Clauser. Uno dei dubbi tipici è legato al fatto che il settore del vino è caratterizzato da un ciclo lungo, “ma ci sono investitori con un’ottica non necessariamente di breve periodo”. Del resto la quotazione serve ad aggregare, consolidare e innovare, “può essere d’aiuto sotto vari aspetti, come per il raggiungimento di una massa critica per essere più competitivi”. Ma non solo Borsa. Serve un rapporto diverso con le banche, che devono essere sempre più percepite come partner nella crescita del sistema vino, hanno detto gli esperti. E forse bisogna guardare a quello che fanno gli altri. Come nel caso della Francia, dove è diffusa per i grandi vini la vendita “en primeur”, con le bottiglie vendute alcuni anni prima che vengano immesse sul mercato. Ma si tratta di un sistema che in Italia non decolla, anche per la mancanza della figura dell’intermediario e di occasioni per promuovere i prodotti. “FARE SISTEMA” E MENO BUROCRAZIA “E’ il paese dei mille campanili, invece bisogna smetterla di dire ’io sono più bravo’ perché ormai la competizione è così forte a livello mondiale che se non ci si dota di determinati strumenti si rischia di perdere davvero una partita importante”, ha detto Francesco Antonioli, giornalista del Sole 24 Ore, che ha guidato il convegno. Gli fa eco Giuliano Lengo, che a Torino dirige il Centro estero per l’internazionalizzazione, e che per il vino piemontese pensa proprio a un “progetto di sistema” come quello lanciato nel 2002 per l’indotto del settore auto e poi riadattato, visto il successo, ai settori Ict e aerospazio. Un progetto che vada “oltre la solita promozione con il vino portato in fiera e la degustazione”. “Perchè non ragionare insieme su un progetto di sistema per l’agroalimentare che contempli anche il vino? Con obiettivi misurabili a distanza dei tre anni, con un team di esperti che lavorino fianco a fianco, con una selezione a monte delle aziende che devono entrare. Sarebbe il salto di qualità”, ha spiegato a Reuters Lengo, convinto che globalizzazione non voglia dire rinunciare alla diversità. Serve, insomma, un cambiamento di mentalità, saper cogliere le opportunità. “C’è chi ha paura dei ’warning’, per esempio alle donne in gravidanza, che le etichette sulle bottiglie dovranno riportare. Ma pensiamo all’Asia: torno dalla Corea del Nord, dove quando ti portano un piatto a tavola ti spiegano in che cosa ti aiuterà a livello di salute. Cosa potrebbe significare in questi mercati riuscire a incidere su medici che vadano in tv a dire: ’il vino fa bene, può prevenire l’infarto...’?”. E proprio in Asia l’export italiano è cresciuto del 18,1%, dietro a Russia (33%), Paesi Opec (24,9%) e America Latina +23,1%), secondo i dati di Winenews. Ma ci sono ancora troppi vincoli e la legislazione europea “è poco competitiva”, dice Lamberto Gallarino Gancia, presidente del Comitato europeo delle imprese vitivinicole (Ceev), intervenuto al convegno. Per la nuova Ocm (Organizzazione comune di mercato) del vino in preparazione, spiega a Reuters, ci sono “discussioni su molti punti che potrebbero darci dei problemi, come lo zuccheraggio, la libertà degli impianti... Di contro c’è la facilità dei produttori del nuovo mondo di essere più dinamici e con regole più in linea con quelle che sono le esigenze del mercato”. E allora che fare? Una soluzione può essere unirsi in consorzi: “Lo stiamo vivendo col consorzio dell’Asti Spumante: abbiamo messo insieme la filiera con la Regione e con finanziamenti europei e abbiamo fatto un progetto di rilancio che passa anche attraverso la comunicazione”.

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