Se per tutti le feste di fino anno in questo 2020 saranno diverse dal solito, per la ristorazione lo scenario sarà stravolto. Niente grandi tavolate, cene e pranzi tra amici, parenti e colleghi, ma serrande abbassate e locali vuoti, per decreto, con la sola possibilità di fare delivery e take away che, ovviamente, non compensa che minimamente le perdite. “Siamo alla vigilia delle Festività più tristi della storia moderna, durante le quali i pubblici esercizi italiani - bar, ristoranti, pizzerie, pub discoteche, attività di catering - sono chiamati a raccogliere i cocci di attività disastrate, abbandonati al loro destino da un governo insensibile agli appelli e alle richieste della categoria. Le nuove limitazioni, infatti, incideranno pesantemente sui nostri già disastrati fatturati: abbiamo già perso oltre 33 miliardi su 86 complessivi (-38,38%) e gli annunciati ristori, in media 3.000 euro ad azienda, risultano inadeguati e insufficienti a compensare singolarmente i danni. Col risultato di disperdere imprese, posti di lavoro e professionalità, fondamentali per due filiere strategiche per il Paese: agroalimentare e turismo. Con l’aggravante che, anche questa volta, ci si è dimenticato delle aziende di intrattenimento, in particolare e discoteche, chiuse da febbraio ed escluse da qualsiasi ristoro, anche parziale”. È l’ennesimo disperato appello della Fipe/Confcommercio, dopo che il Governo, per contenere i contagi da Covid, ha emanato nei giorni scorsi le nuove norme per le festività che, tra zone rosse e arancioni alternate, dal 24 dicembre al 6 gennaio, per la ristorazione impongono la chiusura totale ovunque, ad eccezione della possibilità di lavorare con asporto.
“I Pubblici Esercizi italiani vogliono poter continuare a lavorare non per mettere a rischio i cittadini - ribadisce la Fipe - ma per mettere in sicurezza un patrimonio imprenditoriale e sociale che contribuisce al futuro del Paese e non accettano la fastidiosa distinzione tra attività economiche essenziali e non essenziali, che finisce per oscurare la realtà. Tutte le imprese sono essenziali quando producono reddito, occupazione e servizi e tutte le attività sono sicure se garantiscono le giuste regole e attuano i protocolli sanitari loro assegnati. Questi provvedimenti offendono i 300.000 pubblici esercizi italiani, chiusi da una politica che ha perso credibilità e capacità di funzionamento, perché evidentemente considerati attività insicure ed irresponsabili, nonostante su 6,5 milioni di controlli effettuati sulle attività commerciali, ristorazione compresa, solo lo 0,18% ha subito una sanzione, secondo i dati del Ministero degli Interni. Se il riferimento deve essere il “modello tedesco” più volte invocato per giustificare le misure restrittive, i ristori allora ad esso dovrebbero essere ispirati: indennizzo al 75% dei fatturati calcolato sui mesi di novembre e dicembre, riduzione dell’Iva al 5%, tutela degli sfratti, ad esempio”.
E se i ristori, nel complesso 645 milioni di euro a fondo perduto, di cui 455 per il 2020 e 190 per il 2021, come s legge nel decreto pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 18 dicembre, non convincono la Fipe/Confcommercio, ancora più dura è la posizione della Anbc (Associazione Nazionale Banqueting e Catering), segmento del settore colpito ancora più duramente, con incassi completamenti azzerati per gran parte dell’anno.
“I ristori previsti per le imprese della ristorazione relativi al mese di dicembre fanno riferimento ai criteri usati nello scorso decreto Rilancio, e quindi non prenderebbero in considerazione le attività con fatturati superiori ai 5 milioni di euro. Vorrebbe dire escludere la gran parte di chi opera nel nostro settore. Non posso che definirla la beffa finale per il mondo del catering”, ha commentato il presidente Paolo Capurro.
“Proprio pochi giorni fa abbiamo dichiarato quanto per noi il mese di dicembre sia fondamentale, contribuendo al 18% del totale annuo del fatturato - aggiunge Capurro - parliamo di 450 milioni su 2,5 miliardi, e in tutta risposta cosa accade? Veniamo praticamente esclusi dal provvedimento. Quale sarebbe la nostra colpa? Avere fatturati mediamente più alti, pagare più tasse, creare più indotto e dare maggiore occupazione? Chiediamo a gran voce al Governo di ripensare al provvedimento e correggere il tiro così come fatto giustamente con il decreto Ristori - conclude Capurro - Non può essere il fatturato la discriminante per rientrare o meno nelle categorie che ricevono gli indennizzi dedicati, non è giusto! Così si decreta la fine del nostro settore e si preannuncia un futuro incerto per i lavoratori”.
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