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Turismo enogastronomico, l’Italia ci crede, per valorizzare i piccoli borghi e potenziare l’export

Valorizzare i territori ed i borghi d’Italia, contribuendo al problema crescente della concentrazione dei flussi turistici in poche grande città, grazie al fascino e al crescente interesse per le eccellenze dell’enogastronomia made in Italy, e per i loro luoghi e metodi di produzione, e fare da traino indiretto alle esportazioni del made in Italy agroalimentare: sono due degli effetti, e degli obiettivi da potenziare, del turismo enogastonomico in Italia, la cui importanza va al di là dei numeri già rilevanti, come emerso dal Meeting nazionale n. 1 delle Strade del Vino, dell’Olio e dei Sapori d’Italia, ieri a Montepulciano, una delle culle del Rinascimento della Toscana e patria del famoso Vino Nobile, dove si sono unite in Federazione Nazionale, che ne mette insieme 80 (da quelle del Friuli Venezia Giulia al Trentino Alto Adige, dall’Umbria ai Colli di Tortona in Piemonte) che toccano più di 1.000 aziende vitivinicole, 500 ristoranti, 450 strutture ricettive, 320 agriturismi e 147 prodotti a denominazione protetta tra vino, olio e altre eccellenze e tipicità. Turismo del vino e dei sapori su cui punta sempre di più il sistema Italia, come raccontato a WineNews da Maria Elena Rossi, direttore marketing Italia Enit - Ente Nazionale per il Turismo: “i numeri ci dicono che uno straniero su quattro si muove con una motivazione specificamente enogastronomica, e 2 italiani su 3 quando viaggiano sono spinti da l’interesse per l’enogastronomia e per la conoscenza di prodotti tipici e territori, numeri importanti. Il turismo italiano nel 2018 ha contato 430 milioni di pernottamenti, di cui 100 milioni generate da viaggi mirati all’enogastronomia”. Secondo i dati di Banca d’Italia elaborati dall’Enit, la spesa agroalimentare dei turisti in Italia è stata di oltre 12 miliardi nel 2017 (15,1% totale turismo), di cui circa 5 miliardi spesi dagli stranieri e 7,3 dagli italiani. Con la spesa da parte degli stranieri per la vacanza enogastronomica che è quella che è cresciuta di più tra il 2017 ed il 2018, arrivata a 117 euro al giorno in media. Con i più spendaccioni che sono stati gli inglesi (57,6 milioni di euro), davanti a francesi (36,2), tedeschi (34,7) e americani (33,3). Numeri in crescita, anche perché “la tendenza generale del turismo è quella che porta verso il turismo dell’esperienza, e il turismo enogastronomico, che porta non solo alla conoscenza del prodotto, ma anche dei luoghi in cui nasce, dei metodi e delle persone che lo realizzano, va proprio in questo senso. Il piano triennale approvato dall’Enit punta alla crescita del valore del turismo, di messa a sistema di valori come l’autenticità e la territorialità. Nel mondo dell’enogastronomia è evidente che c’è già molta strada fatta, ma tanto ancora c’è da fare. Ci sono territori e Regioni molto avanzate e ben posizionate, ma altre che devono posizionarsi sui mercati. La sfida vera è generare flussi che portino valore”. E di possibilità l’Italia ne ha tante, se si pensa solo agli oltre 5.000 prodotti tradizionali, ai quasi 300 prodotti a denominazione d’origine, agli oltre 520 vini Dop e Igp, alle Città creative dell’Enogastronomia Unesco come Parma e Alba, agli oltre 334.000 ristoranti, ai 114 musei legati al gusto e al cibo e così via. Con l’interesse turistico per le esperienze legate al cibo, al vino e alle tradizioni alimentari è cresciuto del 48% sull’anno precedente. Dati emersi nell’ultimo World Forum on Gastronomy Tourism dell’Onu, come ricordato da Ernesto Di Renzo, docente di Antropologia dei patrimoni culturali ed enogastronomici dell’Università di Roma Tor Vergata. Che analizzando a WineNews il successo dell’enoturismo, spiega: “partiamo dal presupposto che il vino genera soprattutto un’esperienza di tipo edonistico, e l’enoturismo deve essere in grado di soddisfare questa peculiarità, offrire esperienze che abbiano a che vedere con una dimensione complessa della sensorialità. Dove non è solo il prodotto, ma il territorio, le cantine, i luoghi di produzione e così via sono quanto di meglio per rispondere a questa complessità, lì c’è la potenzialità del successo. Questo chiama in causa la qualità del vino, naturalmente, ma non solo. Sempre di più l’etica, perchè oggi non basta produrre un buon vino, ma si deve produrre un vino che tenga conto di valori che tocchino le sensibilità di oggi, dalla sostenibilità alla tutela dell’ambiente, alla riscoperta delle identità. Ed il vino più di altri prodotti, anche agroalimentari, è in grado di esprimere e raccontare l’identità, sia attraverso ciò che si beve che attraverso i luoghi. Ma dobbiamo andare oltre il vino pensato come una categoria merceologica”. Ed in questo senso, spiega Di Renzo, player come le Strade del Vino, e soprattutto il neonato progetto della Federazione Nazionale, è da guardare con grande interesse. “Le Strade del Vino, dell’Olio e dei Sapori interpretano bene il nostro Paese, la nascita della Federazione dice che si sta rendendo il territorio come un mosaico fatto di tante tessere, che racconta l’Italia attraverso il suo cibo, i sapori, i saperi, è un progetto da assecondare ed indirizzare verso prospettive ben definite. Partendo dal leggere le varie Strade non in maniera competitiva tra loro, ma complementare, in modo che ciascuna diventi un capitolo di un grande libro”.

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