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IMPRESA E MADE IN ITALY

Un “polo del gusto” di alta gamma tra cioccolato, tè, pasticceria e vino: il progetto di Gruppo Illy

A WineNews, Riccardo Illy: “nel vino oggi siamo a Montalcino con Mastrojanni, ma non escludiamo acquisizioni a Barolo, e non solo”

Tra i primi 100 marchi che influenzano di più la vita degli italiani secondo la “The most influential brands 2018” di Ipsos, Illy è un punto di riferimento mondiale del caffè e del made in Italy agroalimentare di qualità. Illycaffè, la società fondata nel 1933 a Trieste da Francesco Illy e oggi guidata dalla terza generazione della famiglia sotto la presidenza di Andrea Illy, ha fatturato lo scorso anno 467 milioni di euro ed è presente in oltre 140 Paesi del mondo.
Ma la famiglia Illy controlla (o ha partecipazioni importanti) tramite la holding Gruppo illy, che lo scorso anno ha raggiunto il fatturato consolidato di 516 milioni, anche altri marchi come Domori (100%), tra i leader del cioccolato di alta qualità, Agrimontana (40%), leader d’alta pasticceria, confetture, marrons glacés, Dammann Frères (80%), storica casa francese di tè, la FGel (23,5%, che si occupa di bar/gelaterie) e Mastrojannj, cantina che, in pochi anni, è diventata un punto di riferimento del Brunello di Montalcino.
Tutte attività non legate al caffè, che rientrano sotto il cappello del Gruppo Illy, presieduto da Riccardo Illy, e che diventeranno un vero e proprio “polo del gusto” con un progetto dedicato, che guarda anche a nuove acquisizioni, soprattutto nel settore del vino, alla finanza e anche alla quotazione in borsa. A spiegarlo, a WineNews, lo stesso Riccardo Illy.
“Nel breve termine, entro giugno 2019, costituiremo una sub-holding controllata al 100% dal Gruppo Illy, che, a sua volta, parteciperà Dammann Frères, Agrimontana, Mastrojanni e Domori. L’idea è di far entrare un partner finanziario nella sub-holding, e con le sue risorse finanziarie, di relazione e di esperienza gestionale, contiamo di accelerare la crescita di queste realtà, che già sono cresciute in questi anni. E appena i tempi saranno maturi di quotarle in borsa.
A noi basta tenerne il controllo, ovvero il 51% delle azioni, e con quello che ricaveremo dalla borsa, liquideremo il partner finanziario. È un processo che io stimo, durerà circa 10 anni, diciamo dal 2020 al 2030, e a quel punto la nostra famiglia controllerà sempre tramite il Gruppo Illy la Illycaffè, e tramite la sub-holding le società sorelle ormai quotate in borsa. Si potrà allora pensare di reincorporare in Gruppo Illy la sub-holding, che avrà a quel punto portato a termine la sua missione”.

Un progetto di ampio respiro, dunque, dove il vino sarà tra i protagonisti. Un settore in cui Illy ha già investito, 10 anni fa, a Montalcino, con Mastrojanni (dove la realtà è diretta da Andrea Machetti, ndr), diventata in pochi anni un punto di riferimento qualitativo del territorio, tra i più prestigiosi al mondo. Come del resto lo sono le Langhe del Barolo, altro territorio in cui Illy non esclude prossime acquisizioni.
“Abbiamo investito a Montalcino 10 anni fa esatti - spiega Riccardo Illy - l’azienda allora aveva 24 ettari di vigna, oggi sono 40. Abbiamo fatto un primo investimento nella cantina, per la bottaia, oggi abbiamo completato un secondo investimento nella parte della vinificazione, abbiamo sviluppato novità come il Vigna Loreto (il cru aziendale, ndr), abbiamo un progetto con il Ciliegiolo, e non escludiamo di fare ulteriori investimenti a Montalcino. Ma anche nei territori più vocati d’Italia e, perché no, in Francia, dove già abbiamo un’azienda di tè, e chissà che non ne arrivi in futuro anche una vitivinicola.
Ma, in generale, io punto a vini che chiamo universali, che hanno una lunga storia alle spalle, e di conseguenza un grande futuro, che sono già conosciuti in tutto il mondo e hanno grande longevità. E in Italia non ci sono molte zone di questo tipo. Oggi per me lo sono Montalcino e Barolo. Bolgheri sta crescendo e magari tra qualche anno la considererò come le prime due, come del resto le zone di produzione spumantistica, anche se sono molto più recenti come storia. Ci vengono di tanto intanto proposte delle aziende da comprare, di volta in volta valutiamo, alcune siamo andate anche a vederle, anche in Barolo, e non è escluso che un domani ci possa essere qualche acquisizione in quel territorio”.
Un territorio, Barolo, dove le quotazioni dei migliori vigneti sono stellari, e superano anche il milione di euro ad ettaro, e quotazioni da capogiro si trovano anche a Montalcino (siamo sui 700.000 euro per un ettaro a Brunello), Bolgheri o nel Conegliano Valdobbiadene, vertice della galassia Prosecco, dove, anche qui, è facile superare il milione di euro per un ettaro vitato. Valori che, per alcuni, sono sintomo più di mire speculative che di reali progetti di impresa.
“Ci sono due fattori che incidono in questo senso: da un lato il mero calcolo dell’investimento, di quanto può rendere, di quali sono i tempi di “pay-back”, di ritorno dell’investimento, ed a Montalcino, per esempio, sebbene i prezzi siano aumentati, sono abbastanza in equilibrio. Poi c’è la questione della domanda dell’offerta, perché è naturale che se ci sono poche vigne in vendita e molte persone e aziende che vogliono acquistarle, come succede, si crea uno squilibrio, per cui se la domanda è superiore all’offerta, i prezzi salgono. Ora, ci sono indubbiamente situazioni in cui i prezzi dei vigneti hanno superato il valori di recupero finanziario che si possono avere vendendo i vini prodotti in quelle vigne ai prezzi di mercato di oggi, che domani potranno aumentare un po’ ma non credo in maniera così significativa. E nel caso di un vino spumante che è molto in voga (leggi Prosecco, ndr) temo ci sia anche il fattore moda, che ha stimolato la domanda. E c’è sicuramente chi specula comprando a 100 oggi e sperando di rivendere a 200 domani. Ma alla fine ci sarà qualcuno che si troverà “con il cerino in mano”, e rivenderà a 50”.
Sta di fatto, però, che in alcuni territori del vino, come Montalcino, in 50 anni c’è stata una rivalutazione del valore degli ettari del 4500%. E viene da chiedersi se si potrà crescere ancora, o se il massimo è ormai stato raggiunto.
“Ci sono due fattori aggiuntivi da considerare. Uno è il quadro finanziario generale. Non abbiamo mai conosciuto un periodo così lungo di grande disponibilità di liquidità e a tassi di interesse molto bassi come negli ultimi anni, e questo, finché sarà così, stimolerà anche operazioni di tipo speculativo. Finché questa liquidità è in circolazione ci sarà una domanda di vigneti superiore all’offerta, e questo potrebbe far crescere ancora i prezzi. L’altro aspetto è quello della popolazione globale benestante, che cresce. Pensiamo solo alla Cina, dove 30 anni fa c’era forse solo qualche alto esponente di partito e basta, oggi si stima ci siano più di 200 milioni di persone benestanti. Quindi ci sono più benestanti in Cina, nati negli ultimi 30 anni, che in tutta Europa, dove abbiamo 500 milioni di abitanti. L’aumentare della popolazione benestante fa aumentare la domanda di prodotti di qualità, e se questo continuerà - e abbiamo buoni motivi per crederlo, al netto della guerra dei dazi innescata dal Presidente Usa, Trump - porterà anche ad un aumento della domanda dei vini di qualità, e quindi del prezzo, e se aumenta il prezzo della bottiglia può aumentare il prezzo della vigna. Ora, di questi due aspetti, quello finanziario è sicuramente destinato a cessare nel giro di 2-3 anni, e probabilmente scopriremo che i danni fatti da questo eccesso di liquidità per molti anni, saranno stati tali che sarà una situazione che non si ripresenterà in futuro. La crescita della popolazione benestante nel mondo, invece, molto probabilmente continuerà”. E chi sarà stato capace di mettere insieme tanti prodotti diversi, e tutti di eccellenza, avrà tante carte da giocare nei mercati del mondo.

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