Il calo dei consumi di vino è ormai un trend consolidato, certificato in primis dalle difficoltà e dalla frenata dell’export italiano nei primi sei mesi del 2023 (qui l’ultima analisi WineNews sui dati Istat). Inflazione e crescita del Pil vicina allo zero, però, sono solo alcune delle motivazioni, che se nei mercati della Vecchia Europa sono sufficienti a spiegare l’arretramento dei consumi di vino, in Usa riescono a raccontare solo una parte del problema. In quello che è il primo mercato per consumi di vino fermo al mondo, si assiste ad una dinamica un po’ più complessa.
Come svela la prima fase del grande studio sui consumi di vino firmato dal “Wine Market Council” e Nielsen IQ, che ha analizzato gli acquisti di alcolici di 100.000 famiglie americane tra il 2021 ed il 2023, si assiste prima di tutto ad una rimodulazione della spesa. Sono sempre di più, infatti, i consumatori che abitualmente spendevano oltre 20 dollari per l’acquisto allo scaffale di una bottiglia di vino passare ad una fascia di prezzo più bassa (10-19,99 dollari). Allo stesso modo, molti di quelli abituati a spendere tra i 10 ed i 20 dollari a bottiglia hanno cominciato a guardare ai vini con un prezzo inferiore ai 10 dollari. Un trend recente, ma che suggerisce l’inopportunità di un aumento dei listini, spingendo i retailer a puntare forte sulla fascia 15-20 dollari, quella che dovrebbe risentire meno della situazione garantendo comunque margini importanti.
Non tutti, però, si limitano a spendere meno, c’è al contrario una fetta importante di consumatori che smette di bere vino in maniera regolare (si considera consumatore regolare di vino chi lo beve almeno 6 volte l’anno, ndr). Sono soprattutto i Millennials, tra i 35 ed i 44 anni, con un livello di reddito compreso tra 40.000 e 70.000 dollari: in nessun’altra fascia di età si registra un livello di abbandono tanto alto, ed anzi tra i consumatori più elevati e tra le famiglie a reddito più alto gli acquisti di vino, specie sopra i 20 dollari a bottiglia, continuano a registrare numeri importanti. La domanda che si sono posti i ricercatori è: “dove vanno allora i consumatori che tagliano gli acquisti di vino?”. Una parte, come accaduto per ogni tipologia di bevanda alcolica, è stata semplicemente tagliata dal carrello della spesa, ma un’altra è stata sostituita dalla birra artigianale, dalla birra importata e dai ready-to-drink, oltre che dagli spumanti.
Il dato fondamentale è che mai come oggi i consumatori sono disponibili a cambiare, passando da una categoria all’altra senza grandi problemi. Il vino, in questo senso, rischia di risentirne per un motivo ben preciso: la scarsa capacità di innovazione. Che non riguarda certo i vini premium, e quindi la stragrande maggioranza dei vini importati da Italia e Francia, quanto le produzioni industriali, che rappresentano comunque la porta d’accesso, specie per i più giovani, alla categoria. Giovani che chiedono cose ben precise, a partire da maggiori informazioni nutrizionali in etichetta (cosa che, in Europa, arriverà nel 2024, ndr) e trasparenza su sostenibilità e filiera produttiva, con un’attenzione particolare al biologico. Aspetti rispetto ai quali il vino può dare risposte assolutamente forti es esaustive.
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