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ECONOMIA ENOICA

Valore aggiunto, patrimonio netto ed indebitamento: il vino italiano meglio dell’economia tricolore

L’analisi del Banco Bpm per il Consorzio del Brunello di Montalcino. Che governa un territorio che brilla di luce propria nel panorama nazionale

Frammentato, complicato, ma forte e capace di superare crisi interne ed esterne, ed ogni volta di rilanciarsi meglio di prima. È il ritratto, in estrema sintesi, del settore del vino italiano, che anche dopo due anni di pandemia di conferma più in salute di molti altri, anche dal punto di vista di fondamentali economici come la redditività, la patrimonializzazione e l’indebitamento. Emerge da una ricerca di Banco Bpm, uno dei gruppi bancari più importanti d’Italia, per il Consorzio del Brunello di Montalcino, che guida un territorio tra i più prestigiosi ed i più in salute del vino italiano e mondiale. E se è difficile generalizzare quando si parla di un comparto, quello del vino italiano, fatto da 310.000 imprese viticole 46.000 aziende vinificatrici ed un valore alla produzione che la Direzione Studi e Ricerche di Banco Bpm stima in 11 milioni di euro, con le prime 30 imprese che mettono insieme un fatturato di 3,9 miliardi di euro (mentre la media ad azienda è stimata in 250.000 euro), e con un’offerta parcellizzata in 74 Docg, 334 Doc e 118 Igt, dall’indagine emerge quanto il settore, nel suo complesso, sia stato decisamente più performante dell’economia italiana in generale, anche nel medio lungo periodo.
Fatto 100 il Prodotto Interno Lordo (Pil) ed il fatturato delle imprese vinicole nel 2008, per esempio, nel 2020 il Prodotto Interno Lordo (Pil) del Belpaese è più o meno lo stesso di 12 anni fa, mentre il giro d’affari delle cantine è cresciuto di 50 punti. Una crescita, come noto, guidata dall’export, che, dal 2000 al 2020, sottolinea il Banco Bpm su dati Istat, è cresciuto del 14% in volume e soprattutto del 61% in valore, con un prezzo medio su del +69%. Certo, resta il nodo della concentrazione dei mercati, visto che i primi tre - ovvero Usa (23%), Germania (17%) ed Uk (11%) - pesano da soli per oltre il 50% dei valori esportati (dato 2020). Ma in ogni caso si conferma il fatto che le esportazioni hanno compensato, in parte, la perdita dei consumi interni, che hanno visto i consumi pro-capite scendere dai 50 litri del 2000 ai 38 del 2020, con i consumatori quotidiani di vino che erano ancora la maggioranza nel 2008 (54,6% contro il 45,4% dei bevitori occasionali), e che oggi sono invece la minoranza (42% contro 58%), con un consumo complessivo che per oltre il 45% è appannaggio degli over 55 (che rappresentano il 40% della popolazione). Trend che oggi fanno del vino italiano una comparto che vale da solo, per il 10% del totale dell’industria agroalimentare italiane, con un valore aggiunto a livello nazionale del 19%, un patrimonio netto delle aziende tricolori che sfiora il 41%, e debiti finanziari al 32%. Situazione media, che in alcuni territori è ancora migliore. Come raccontano i dati, nettamente sovraperformanti, delle aziende del Brunello di Montalcino, che, dal 2006 al 2019, hanno visto la crescita del valore aggiunto dal 39% al 42%, l’incremento del patrimonio netto dal 37% al 63% e la riduzione dei debiti finanziari dal 45% al 23,4%.
“Il mercato del vino a livello mondiale evidenzia segnali positivi riguardo i valori scambiati, mentre i consumi sono in rallentamento, il che indica anche una maturità del mercato - ha spiegato Michele Zanotto del Divisione Studi e Ricerche di Banco Bpm - e, in questo quadro, l’Italia propone una varietà di vini tale da presidiare tutte le fasce, e ha dimostrato di sapere cogliere le opportunità che derivano dalla variazione dei gusti dei clienti. Il mercato domestico presenta, però, alcuni segnali di debolezza: un’elevata frammentazione degli operatori, consumi pro-capite in calo, riduzione dei consumatori abitudinari e soprattutto una struttura anagrafica sbilanciata verso gli over 50, la fascia d’età che consuma più vino”.
Tutto ciò ha comportato negli anni un progressivo miglioramento reddituale e finanziario che ha reso il Brunello di Montalcino più solido, liquido e meno rischioso rispetto sia al settore in generale sia nei confronti dei vini che appartengono alle diverse fasce della piramide qualitativa del vino italiano. “La chiave di lettura è la capacità delle imprese di mantenere alto nel tempo il valore aggiunto - conclude Zanotto - grazie ad investimenti, al rafforzamento patrimoniale ed alla riduzione dell’indebitamento che hanno permesso alle imprese del Brunello di rimanere nell’eccellenza anche degli indici finanziari”.
Secondo il presidente del Consorzio del Vino Brunello di Montalcino, Fabrizio Bindocci,
“il lavoro presentato da Banco Bpm è molto utile perché ci permette di misurare in maniera analitica lo stato di salute delle nostre imprese e di un vigneto di Montalcino che, è bene ricordarlo, ha visto incrementare il proprio valore di oltre il 4.000% negli ultimi 50 anni (come, da stime WineNews, di recente riportate qui, ndr). La reazione all’emergenza Covid da parte delle imprese di Montalcino - ha aggiunto Bindocci - è evidenziata anche dal +12% di contrassegni di Stato distribuiti nel 2020 e soprattutto dal +51% di fascette richieste dai produttori di Brunello nei primi 8 mesi 2021 per l’immissione del prodotto sul mercato. In totale il numero di contrassegni già distribuiti dalla fine dello scorso anno a oggi per l’annata 2016 ha raggiunto l’equivalente di quasi 8 milioni di bottiglie, con il “rischio” di terminare le scorte dell’annata già entro il prossimo novembre, quando presenteremo la sua Riserva a “Benvenuto Brunello”, che, quest'anno, con una formula rinnovata, sarà dal 19 al 28 novembre”.

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