Entusiasmo, bellezza, sperimentazione, speranza di stabilità, resilienza, accessibilità e non solo: sono le parole chiave che caratterizzeranno il 2026 del vino italiano. Almeno secondo i vertici delle 24 cantine del Consorzio Italia del Vino, intervistate da WineNews (nei prossimi giorni il video), che riunisce realtà come Angelini Wines & Estates, Banfi, Bisol1542, Cà Maiol, Collis Heritage, Di Majo Norante, Diesel Farm, Drei Donà, Duca di Salaparuta, Ferrari Fratelli Lunelli, Gruppo Italiano Vini - Giv, Gruppo Mezzacorona, Herita Marzotto Wine Estates, Le Monde, Librandi Antonio e Nicodemo, Lunae Bosoni, Marchesi di Barolo, Medici Ermete & Figli, Mesa, Oniwines, Terre de La Custodia, Torrevento e Zonin1821, e la new enry Donnachiara, dall’Irpinia, che ieri, nell’assemblea di scena a Roma, ha riconfermato alla presidenza Roberta Corrà (già al vertice del Gruppo Italiano Vini - Giv), e tracciato un bilancio 2025 “positivo in termini di crescita e rappresentatività, confermandosi punto di riferimento del vino italiano con un fatturato complessivo superiore a 1,5 miliardi di euro, una quota export pari al 15% del totale nazionale e una proprietà complessiva di 15.000 ettari vitati. Numeri che raccontano la solidità di un gruppo composto oggi da 24 realtà in 18 regioni, impegnato nel valorizzare i territori, sostenere le imprese associate e promuovere il vino italiano sui mercati globali, con attenzione alle nuove tendenze di consumo e alla formazione dei talenti”, e che, in 15 anni, ha investito oltre 100 milioni di euro nei mercati internazionali, spiega una nota.
“Nel 2025 il mercato del vino in Italia ha registrato un ulteriore rallentamento dei consumi: l’acquisto domestico è più selettivo, il consumo quotidiano continua a ridursi e cresce il peso delle occasioni speciali, dove bianchi, rosé e soprattutto spumanti mostrano performance migliori sui rossi tradizionali”, spiega Roberta Corrà. Che aggiunge: “non si tratta di un crollo, ma di un’erosione costante legata sia al costo della vita che ad un cambiamento culturale: il consumatore italiano medio beve meno, ma sceglie con maggiore attenzione, premiando freschezza, versatilità e bevibilità”.
La tendenza si riflette anche all’estero: Stati Uniti, Germania e Regno Unito, principali mercati per l’Italia, registrano volumi in calo rispetto al 2024, complice l’inflazione persistente, una maggiore prudenza della distribuzione e l’avvio dei dazi Usa sul vino europeo. “Anche in questo caso, la domanda premia i segmenti più contemporanei, con il Prosecco che rimane la locomotiva dell’export italiano e continua a crescere come categoria “comfort” anche nei contesti di incertezza economica”, prosegue Corrà.
Guardando al 2026, l’andamento dell’inflazione che si stabilizza e lo smaltimento delle giacenze in alcuni mercati aprono ad uno scenario più favorevole: “è plausibile attendersi un rimbalzo moderato della domanda, trainato da bianchi e bollicine, e da una comunicazione più moderna capace di coinvolgere nuove fasce di consumatori. Le aziende che sapranno interpretare linguaggi contemporanei e parlare anche ai target giovani saranno avvantaggiate. È anche per questo che abbiamo dato vita alla Wine Business Academy, un Corso di Alta Formazione per i Manager del vino di domani, in collaborazione con Luiss Business School - sottolinea la presidente Corrà - che ha, da poco, concluso il primo modulo”, e che ora proseguirà nel percorso formativo sostenuto da Gate 39, Veronafiere, Colangelo & Partners e Wine Enthusiast.
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