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A SCUOLA TRIONFA IL “BIO”, MA UN PIATTO SU TRE SE LO MANGIA IL CASSONETTO. COLPA DELLA SCARSA QUALITÀ DELLE PREPARAZIONI, DEGLI AMBIENTI CAOTICI, DELL’ASPETTO “ESTETICO”DEI CIBI. I CONSIGLI DI DUE GRANDI CHEF, FULVIO PIERANGELINI E MASSIMILIANO ALAJMO

L’adozione di prodotti biologici da parte di oltre 650 mense scolastiche italiane non sembra aver migliorato il rapporto dei giovani con il cibo. Un terzo dei tre milioni di pasti serviti ogni giorno dalla ristorazione scolastica finisce nel cassonetto, anche perché, a sentire genitori e studenti, da Roma a Milano, la pasta spesso è scotta, le verdure cotte quasi sempre fredde, e il pane assomiglia a un chewing-gum. E poco successo hanno riscosso anche i piatti etnici che le scuole di Roma propongono una volta al mese.

Come rimediare a quello che rischia di assumere le dimensioni di una vera e propria emergenza sociale? Una via potrebbe essere quella della semplicità, come suggerisce Fulvio Pierangelini, miglior chef d’Italia per il Gambero Rosso e per L’Espresso, che dalla cucina del suo “Gambero Rosso” ricorda come sia semplice preparare del buon pesce e renderlo appetitoso con un sano e gustoso filo d’olio extravergine d’oliva. O ancora si potrebbe migliorare l’ambiente in cui gli studenti mangiano, rendendolo più allegro e al tempo stesso meno caotico, come sostiene Massimiliano Alajmo, altra griffe della cucina italiana con il suo ristorante “Le Calandre”.

Un problema da risolvere in ogni caso, visto che, come diceva già Ippocrate nell’antica Grecia, “siamo ciò che mangiamo”.

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