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L’ORO MEDITERRANEO NON PIACE AI MEDIA. DALLO STUDIO DEL DIPARTIMENTO DI SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE DI SIENA, L’OLIO E POCO CONSIDERATO NELLA COMUNICAZIONE NAZIONALE. IL 31 OTTOBRE MOMENTO DI RIFLESSIONE SUL GRANDE PRODOTTO D’ITALIA

Ai media nazionali non piace comunicare l’olio. Lo comunica una ricerca dell’Università di Siena Dipartimento di Scienze della Comunicazione. L’ingrediente base della dieta mediterranea, che tutto il mondo ci invidia, e il settore olivicolo in generale, non sembrano avere spazio che gli spetterebbe nei quotidiani, in tv e in tutti gli altri mezzi di comunicazione nazionali, ad esclusione del settore specializzato. Se questo avviene è solo concentrato nel periodo autunnale con i vari pronostici sull’andamento della raccolta.

Anche il consumo a livello nazionale è basso, se si pensa che l’olio è davvero la base della nostra dieta. La cultura dell’olio è scarsa, l’oro mediterraneo viene ancora consumato a gocce e non se ne conoscono tutti i benefici a livello salutistico. Anche quando si parla di “olio” spesso non si considera che questa parola contraddistingue tipologie differenti tra loro, dall’olio vergine di oliva all’extravergine, dall’olio di sansa all’olio di semi.

Di questo, del significato dell’olio nell’affluenza turistica in Italia e delle certificazioni oleicole si parlerà il 31 ottobre a Siena nel convegno “La comunicazione dell’olio in Italia”, promosso dalle Città dell’Olio.

“Un appuntamento importante - spiega Enrico Lupi, presidente delle Città dell’Olio (www.cittadellolio.it) - che offre una visione nuova e stimolante, ovvero l’olio italiano come motore di attrazione per visitatori sempre più interessati all’ambiente e alla genuinità di un prodotto e ad un’Italia diversa da quella dello shopping e balneare”.

“Manca una strategia comune - afferma la dottoressa Barbara Aquilani, che ha guidato la ricerca universitaria - da parte non solo dei singoli produttori. Serve un ente di aggregazione per fare massa critica nei media nazionali, approfondendo magari i pochi momenti in cui l’olio viene già trattato e trovando nuovi spazi. Nonostante l’olio sia il secondo prodotto all’export, siamo molto lontani dalle strategie comunicative adottate invece per il vino, pur considerando le loro grandi differenze, sia a livello di prodotto che a livello simbolico”.

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