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IL “NATIONAL GEOGRAPHIC” AD OTTOBRE RACCONTA L’ARTE DI FARE IL VINO DEGLI ANTICHI ROMANI

Già 2.000 anni fa, gli antichi Romani si erano posti il problema di come tenere sotto controllo la qualità del vino. Intimoriti dalla capacità inebriante della bevanda, i Romani prestavano particolare attenzione alle adulterazioni, e individuarono nel legno di edera il modo per scoprire il vino annacquato: la pianta ha la straordinaria capacità di assorbire il vino in purezza ma non l’acqua, riuscendo anche a “riconoscere” quella aggiunta da quella naturalmente contenuta nel vino. Presso i Greci e i romani l’edera era infatti ritenuta in grado di “assorbire i fumi dell’alcol”, dal momento che i recipienti fatti con questa pianta, assorbendo il vino, lasciavano l’acqua sul fondo. Per questa ragione Bacco, Dio del vino e dell’ebbrezza, veniva sempre raffigurato con la testa cinta da una corona d’edera. La validità del metodo è stata messa alla prova dal Laboratorio di Ricerche applicate della Soprintendenza di Pompei (raccontato dal “National Geographic”, in edicola ad ottobre), i cui esperimenti ne dimostrano il perfetto funzionamento, a riprova della grande esperienza pratica del mondo naturale posseduta dagli antichi.

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