02-Planeta_manchette_175x100
Consorzio Collio 2024 (175x100)

CRISI: I CONSUMATORI “SVUOTANO” IL CARRELLO E CAMBIANO ABITUDINI A TAVOLA: IL 60% DICHIARA DI AVER MODIFICATO IL PROPRIO MENU E IL 34% DI AVER OPTATO PER PRODOTTI DI QUALITÀ INFERIORE. IN 3 ANNI, RIDOTTO DI 350 EURO IL BUDGET PER GLI ALIMENTARI

Per molti è ormai una necessità, per altri uno dei vari modi di far quadrare il bilancio familiare. Una cosa, però, è certa: risultano in costante aumento le famiglie italiane che, alle prese con il “caro-vita” e gli effetti della crisi economica, sono costrette a risparmiare sugli acquisti alimentari. E non si tratta più solo di lesinare sulla qualità del cibo, rifornendo dispensa e frigorifero di promozioni e “low-cost”: oggi gli italiani “tagliano” anche sulla quantità, riducendo i consumi di prodotti base della dieta mediterranea come pane, pasta, carne e verdura. Il risultato più immediato è che la spesa alimentare cede ancora il passo: era di 461 euro mensili a famiglia nel 2009, cala a 447 euro medi al mese nel 2010. Vuol dire il 3,1% in meno in 12 mesi e ben il 6% in meno da quando è cominciata la crisi. Sul 2008, infatti, quando si spendevano mediamente 475 euro per cibo e bevande, le famiglie italiane hanno destinato quasi 30 euro in meno ogni mese per fare la spesa al supermercato. Lo rivela un’indagine della Cia - Confederazione Italiana Agricoltori.

La flessione drastica della spesa per gli alimentari diventa ancora più evidente se si mettono a confronto le cifre annue: se nel 2008 il budget riservato alla tavola era pari complessivamente a 5.700 euro per famiglia - spiega la Cia - nel 2009 scende a 5.532 euro, per poi toccare quota 5.364 euro a fine 2010. Nel giro di un triennio, quindi, gli italiani hanno ridotto di 350 euro la parte dello stipendio riservata a cibo e bevande. Causando un’accelerazione della tendenza alla perdita di peso degli acquisti riguardanti l’alimentazione, scesi dal 17,3 al 16,5% del totale della spesa sul territorio nazionale.

Ma spendere di meno significa dover cambiare le abitudini alimentari. E - continua la Cia - oltre la metà delle famiglie italiane (il 60%) sostiene di aver modificato il menù rispetto al passato e il 35% di aver limitato gli acquisti. Significa che oggi ben 7,7 milioni di famiglie riempiono di meno le buste della spesa e non soltanto di prodotti superflui, ma di quelli che da sempre sono ritenuti beni di prima necessità. Nel contesto dei “tagli” alimentari, viene fuori che il 40,2% degli italiani ha diminuito gli acquisti di frutta e verdura, il 36% quelli di pane e pasta e il 39,5% quelli di carne e pesce. Indicazioni che trovano conferma nel consuntivo 2010 dei consumi alimentari: l’anno scorso, dati Ismea alla mano, sono calate infatti le quantità acquistate di pane e pasta (scesi rispettivamente del 2,7% e dell’1,8% su base tendenziale), carne rossa (-4,6%), prodotti ittici (-2,9%), ortofrutta (-1,8%) e vino da tavola (meno 2,1%).

Oltre alla quantità, i consumatori sono costretti spesso a rinunciare anche alla qualità. Complice la perdita di potere d’acquisto e la ripresa dell’inflazione - sottolinea l’indagine della Cia - il 34% delle famiglie del Belpaese (7,4 milioni) dichiara di optare per prodotti di qualità inferiore e il 30% (6,6 milioni) di rivolgersi ormai quasi esclusivamente alle promozioni commerciali. Sono risultati che possono spiegare in parte il successo di prodotti confezionati come le insalate in busta o il pane in cassetta, che non sono appannaggio solo delle grandi marche e su cui la Grande distribuzione applica di frequente sconti, 3x2 e promozioni tramite carte fedeltà.

Ecco, quindi, che, nel 2010, in netta controtendenza sui cibi base del paniere alimentare, i prodotti di IV gamma hanno registrato un aumento dell’8% in quantità, così come i sostituti del pane (più 4,3%) e gli ortaggi e legumi surgelati e in barattolo (più 0,4%). Ma la crescita di questi prodotti - aggiunge la Cia - dipende anche dal fatto che hanno una scadenza più dilatata nel tempo rispetto ai “freschi” e soprattutto c’è la possibilità di trovarli anche in veste “low-cost”.

D’altronde, proprio la scelta del basso costo oggi sta facendo la fortuna dei discount e delle catene più economiche. Per risparmiare, infatti, le famiglie italiane cambiano non solo la composizione della spesa, ma anche la tipologia di esercizio commerciale a cui rivolgersi. Nel 2010 - ricorda la Cia - i piccoli negozi e le botteghe tradizionali hanno perso il 5,7%, mentre iper e supermercati si sono dovuti accontentare di un misero più 0,2%. Di contro, gli unici punti vendita a segnare un balzo in avanti sono stati appunto gli hard-discount, con un aumento netto dell’1,3%.

E, purtroppo, anche il 2011 non promette grandi cambiamenti sul fronte alimentare. Il rialzo dell’inflazione, spinto su dal “caro-energia” e dal boom delle commodity, i redditi bassi e le vendite al palo, non sembrano poter spingere in avanti i consumi a tavola. Già il primo trimestre dell’anno, d’altra parte, ha messo in evidenza lo stesso trend del 2010: acquisti in calo di oltre il 3%, flessione pressoché generalizzata di tutti i canali di vendita, orientamento a comprare meno prodotti e di qualità inferiore. Tutti elementi che portano a ritenere impossibile una vera ripresa dei consumi domestici prima del 2012. Secondo le stime della Cia, invece, nel 2011 i consumi alimentari non si discosteranno dall’andamento stagnante dell’anno precedente e resteranno ancora in territorio negativo, in una forbice compresa tra il -0,2 e -0,5%. Ma con un calo della domanda più marcato nel Mezzogiorno che nel resto d’Italia.

Copyright © 2000/2024


Contatti: info@winenews.it
Seguici anche su Twitter: @WineNewsIt
Seguici anche su Facebook: @winenewsit


Questo articolo è tratto dall'archivio di WineNews - Tutti i diritti riservati - Copyright © 2000/2024

Altri articoli