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SI CUCINA CON LE REGOLE DEL CARCERE, CON COLTELLI AL BANDO, MA CON I SAPORI DELLA PROPRIA TERRA E LA FANTASIA: A REBIBBIA A ROMA, DOVE I DETENUTI SI SONO SFIDATI A SUON DI “CUCINA GALEOTTA”. E L’ALTA CUCINA È PROTAGONISTA IN 60 PENITENZIARI ITALIANI

Si cucina secondo le regole della cucina in cella, e quindi con coltelli e ferraglia al bando, ma è gara vera. Di sapori e di fantasia. I detenuti della casa circondariale di Rebibbia, alla periferia di Roma, italiani e stranieri, nel cortile del carcere, hanno preparato un pasto, con ingredienti dei rispettivi territori di provenienza, consegnati per l’occasione, e con utensili ricavati da barattoli e scatolame, che, per chi s’arrangia e sa vivere d’ingegno, possono diventare grattugie e scolapasta. Senza dimenticare le pentole, ovviamente, ma nei formati mini consentiti. L’obiettivo della sfida andata in scena il 26 maggio, era quello di presentarsi a mezzodì davanti a una giuria di esperti - tra i giurati il Magistrato di sorveglianza, la Direzione del carcere e l’Ansa - per vincere la gara di “cucina galeotta”. Ma soprattutto per vivere una giornata piena di sapori di casa, di condivisione e di scambio con la società oltre le sbarre. Otto le squadre in gara, tra le quali la “Rappresentanza dell’Africa unita”, il “Venezuela” e il “Magreb”, protagoniste dell’iniziativa “Incontro tra i popoli” promossa dall’Associazione Vic - Volontari in Carcere. I vincitori? La squadra della “Fraschetta”, per il gusto, il “Venezuela”, per l’estetica del piatto, e gli “Amici per sempre”, per l’originalità della pietanza.

E da Napoli con i corsi per diventare pizzaioli, a Torino, dove nella casa circondariale Lorusso e Cutugno c’é una torrefazione rinomata che lavora chicchi di caffé presìdio Slow Food e seleziona cacao per poi fornire miscele tostate e “sbarrette” di cioccolato ai negozi più in voga nel mondo gourmet, crescono in Italia la produzione alimentare di provenienza carceraria e l’attenzione del pubblico, ma anche della critica di settore, per il fenomeno che ormai trova esempi in oltre 60 penitenziari italiani. In alcuni casi con produzioni squisite, come la pasta di mandorla realizzata dai detenuti di Siracusa o la “cucina galeotta”, tema della gara tra i detenuti della casa circondariale di Rebibbia, a Roma. Secondo una recente rielaborazione Gambero Rosso, su dati Aiab, in una sessantina di penitenziari sono circa 400 i reclusi impegnati nel food & wine, ai quali vanno aggiunti i 220 delle colonie agricole, dalla Sardegna all’isola di Gorgona, che rappresentano il 4,4% della popolazione carceraria che lavora. A questi numeri si devono aggiungere le aziende agricole, le Onlus, le cooperative che ospitano ex carcerati e detenuti in articolo 21, quelli che svolgono attività lavorative fuori dell’istituto. Numeri poco “ristretti”, dunque, che comprendono anche attività artigianali, di ristorazione e del catering. Nel pieno rispetto delle tipicità di territorio. A Sulmona per l’aglio rosso, a San Gimignano per lo zafferano, le uova di quaglia a Milano Opera, e ovviamente a Pozzuoli per il caffé “Lazzarelle”. Con nomi di fantasia che indicano tanta libertà almeno di pensiero, come i vini del carcere di Velletri: Fuggiasco, Le Sette Mandate, Recluso, Fresco di Galera. Ed il “Valelapena”, un corroborante vino rosso frutto della vigna di un ettaro nella Casa circondariale G. Montalto ad Alba.

Fonte: Ansa

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