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“NO ALLA POSSIBILITÀ DI UTILIZZARE FECCE E VINACCE PER LA PRODUZIONE DI BRANDY. SAREBBE IL DECLASSAMENTO DI UNO DEI PIÙ ANTICHI DISTILLATI AL MONDO”. COSÌ ASSODISTIL. “ITALIA, FRANCIA E SPAGNA CONTRARIE, AUMENTO DEI PREZZI DEL VINO È TRANSITORIO”

Secondo alcuni, il nome del brandy, uno dei distillati più antichi del mondo, in origine deriverebbe da una parola olandese (poi tradotta in inglese con “brandy wine”) che vuol dire “vino bruciato”. E il vino come materia prima del celeberrimo prodotto è la regola. Che qualcuno vorrebbe cambiare, oggi, consentendo l’impiego anche di sottoprodotti del vino come fecce e vinacce, considerato anche che le scarse vendemmie degli ultimi anni hanno fatto lievitare il costo della materia prima più nobile, ovvero il vino stesso. Un “declassamento del vero brandy”, però, secondo Assodistil, l’associazione che rappresenta l’industria italiana della distillazione, e che si fa portavoce del “no” italiano all’idea.
Antonio Emaldi, presidente di AssoDistil, che raggruppa il 100% delle aziende che distillano vino, spiega: “nei recenti incontri sull’Ocm vino tra produttori di brandy l’Italia, la Spagna e la Francia hanno confermato la loro netta opposizione all’idea (che arriverebbe proprio da alcuni produttori francesi, ndr) di svalutare l’acquavite da vino, introducendo nella produzione i sottoprodotti della vinificazione, sicuramente più convenienti dal punto di vista dei costi, ma di qualità decisamente inferiore. Il brandy insomma, non sarebbe più lo stesso e, al contrario, ne risulterebbero penalizzate le straordinarie caratteristiche e la stessa possibilità di commercializzazione a livello mondiale”.
L’aumento dei prezzi della materia prima, ha sottolineato il numero uno di AssoDistil, costituisce un fatto transitorio: “le scarse vendemmie hanno fatto lievitare il costo del vino, ma si tratta di un fenomeno congiunturale. Presto torneremo alla normalità ed i costi saranno più contenuti. Il brandy europeo è uno dei più antichi distillati del mondo, da sempre prodotto con il vino - osserva il presidente Emaldi - cambiarne la definizione significherebbe snaturarlo del tutto. Ecco perché, di concerto con gli altri Paesi produttori, ci batteremo per mantenere inalterata la normativa vigente per garantire l’alta qualità del prodotto, anche nell’interesse della filiera viticola”.

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