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Coldiretti: l’Italia combatte il caporalato e la sospensione dei diritti civili dentro i suoi confini, ma il 30% dei prodotti agroalimentari che importa viene da Paesi dove i lavoratori non hanno diritti, come la Birmania e la Cina

L’Italia è impegnata già da tempo nella lotta ad ogni tipo di sfruttamento sul lavoro e alla sospensione di diritti civili e sociali, e da questo impegno ne è nata lo scorso anno una legge per contrastare il caporalato. Ma c’è una contraddizione evidente, sottolineata da un’analisi della Coldiretti, e cioè che il 30% dei prodotti agroalimentari che l’Italia consuma sono importati da altri Paesi, compresi alcuni che non rispettano assolutamente le norme di diritti civili e di sicurezza alimentare italiana ed europea. Ad esempio, la Birmania, sotto accusa dalle Nazioni Unite per la campagna brutale di pulizia etnica contro la minoranza dei Rohingya, gode dal 2013 del sistema tariffario agevolato a dazio zero, che ha fatto aumentare dell’800% nel 2017 rispetto allo scorso anno le importazioni di riso in Italia, raggiungendo così il valore record di 7 milioni di chili nel solo primo semestre sulla base dei dati Istat.
Quello della Birmania è, però, solo l’ultimo dei molti casi di “caporalato invisibile”, come lo definisce la Coldiretti, solo perché avviene in Paesi lontani, nella lista ci sono anche le importazioni di conserve di pomodoro dalla Cina, al centro delle critiche internazionali per il fenomeno dei “laogai”, i campi agricoli lager che secondo alcuni sarebbero ancora attivi, nonostante l’annuncio della loro chiusura. Nel 2016 sono aumentate del 36% le importazioni in Italia di concentrato di pomodoro dal Paese asiatico, che hanno raggiunto 92 milioni di chili, pari a quasi il 10% della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente. E ancora, le importazioni di nocciole dalla Turchia sulla quale pende l’accusa per lo sfruttamento del lavoro delle minoranze curde; ma il problema dello sfruttamento riguarda anche le rose dal Kenya per il lavoro sottopagato e senza diritti, i fiori dalla Colombia dove è stato denunciato lo sfruttamento del lavoro femminile o la carne dal Brasile, dove è stato denunciato il lavoro minorile. Le banane sono il terzo frutto più consumato in Italia, ma su quelle che vengono dall’Ecuador sono stati segnalati trattamenti chimici fuorilegge in Europa, mentre lo zucchero di canna, divenuto di gran moda, viene ottenuto in Bolivia in piantagioni dove si segnala l’abuso di stimolanti per aumentare la resistenza al lavoro. Ma ci sono trattative in corso anche per i prodotti frutticoli con i Paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay, Uruguay) dove non ci sono le stesse norme di tutela di lavoro vigenti in Italia.
Tutto questo accade nell’indifferenza delle Istituzioni nazionali ed europee, denuncia la Coldiretti, che anzi spesso alimentano di fatto il commercio dei frutti dello sfruttamento con agevolazioni o accordi privilegiati per gli scambi che avvantaggiano solo le multinazionali.
“Non è accettabile che alle importazioni sia consentito di aggirare le norme previste in Italia dalla legge nazionale sul caporalato - afferma il presidente Coldiretti, Roberto Moncalvo - ed è necessario, invece, che tutti i prodotti che entrano nei confini nazionali ed europei rispettino gli stessi criteri a tutela della dignità dei lavoratori, garantendo che dietro tutti gli alimenti, italiani e stranieri, in vendita sugli scaffali ci sia un percorso di qualità che riguarda l’ambiente, la salute e il lavoro, con una giusta distribuzione del valore a sostegno di un vero commercio equo e solidale”.

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