Mancano solo pochi giorni alla votazione per il riconoscimento dell’arte dei pizzaiuoli napoletani a Patrimonio Immateriale dell’Unesco, fissato dal 4 dicembre in Corea del Sud, e, intanto, a Napoli, è stato raggiunto l’obiettivo delle 2 milioni di firme a sostegno della candidatura italiana, l’unica delle 34 presentate che ha superato il primo taglio, e che sarà quindi esaminata dal Comitato Intergovernativo per la salvaguardia del patrimonio immateriale dell’Unesco. Lo ricorda la Coldiretti, alla fine di un percorso iniziato sette anni fa, che con l’Associazione Pizzaiuoli Napoletani e la fondazione UniVerde dell’ex ministro dell’Agricoltura Alfonso Pecoraro Scanio ha creato le condizioni per raggiungere un risultato storico per il prodotto simbolo dell’identità nazionale.
La pizza napoletana dal 4 febbraio 2010 è stata ufficialmente riconosciuta come Specialità tradizionale garantita dall’Unione Europea, ma ora l’obiettivo è quello di arrivare ad un riconoscimento internazionale di fronte al moltiplicarsi di atti di pirateria alimentare e di appropriazione indebita dell’identità. Una necessità anche per difendere i consumatori dalle pizze realizzate con farina proveniente da grano dell’Ucraina, mozzarelle ottenute da cagliate lituane, extravergine tunisino e concentrato di pomodoro cinese.
“Il riconoscimento dell’Unesco avrebbe dunque un valore straordinario per l’Italia - ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo - che è il Paese dove più radicata è la cultura alimentare e la pizza rappresenta un simbolo dell’identità nazionale. È chiaro che garantire l’origine nazionale degli ingredienti e le modalità di lavorazione significa difendere un pezzo della nostra storia, ma anche la sua distintività nei confronti della concorrenza sleale”.
La candidatura della pizza a patrimonio immateriale dell’umanità tutela un settore che vale 10 miliardi di euro con almeno 100.000 lavoratori fissi nel settore della pizza ai quali se ne aggiungono altri 50.000 nel fine settimana, secondo i dati dell’Accademia Pizzaioli. Ogni giorno solo in Italia si sfornano circa 5 milioni di pizze nelle circa 63.000 pizzerie e locali per l’asporto, taglio e trasporto a domicilio. Non è un caso che oggi il 39% degli italiani ritiene che la pizza sia il simbolo culinario dell’Italia, secondo un sondaggio online Coldiretti, e che la pizza sia la parola italiana più conosciuta all’estero con l’8%, seguita dal cappuccino (7%), dagli spaghetti (7%) e dall’espresso (6%), secondo un sondaggio on line della Società Dante Alighieri. La passione per la pizza è diventata planetaria, con gli americani che sono i maggiori consumatori con 13 chili a testa mentre gli italiani guidano la classifica in Europa con 7,6 chili all’anno, e staccano spagnoli (4,3 chili), francesi e tedeschi (4,2 chili), britannici (4 chili), belgi (3,8 chili), portoghesi (3,6 chili) e austriaci, che con 3,3 chili di pizza pro capite annui chiudono questa classifica.
L’arte dei pizzaiuoli napoletani sarebbe il settimo “tesoro” italiano ad essere iscritto nella Lista rappresentativa del patrimonio culturale immateriale dell’Unesco. L’elenco tricolore comprende anche l’Opera dei pupi (iscritta nel 2008), il Canto a tenore (2008), la Dieta mediterranea (2010) l’Arte del violino a Cremona (2012), le macchine a spalla per la processione (2013) e la vite ad alberello di Pantelleria (2014). Accanto al patrimonio culturale immateriale, l’Unesco ha riconosciuto negli anni anche un elenco di siti, e proprio l’Italia è lo stato che ne vanta il maggior numero a livello mondiale. Significativamente, però, gli ultimi elementi, ad essere iscritti negli elenchi, dallo Zibibbo di Pantelleria alla Dieta Mediterranea, fanno riferimento al patrimonio agroalimentare made in Italy, a testimonianza della sempre maggiore importanza attribuita all’alimentazione, non a caso il 2018 cibo è stato proclamato l’anno internazionale del cibo italiano nel mondo.
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