Se fosse un Paese a sé stante la California rappresenterebbe l’ottava economia del mondo, e questo in virtù anche del suo essere il cuore pulsante della vitivinicoltura d’oltreatlantico: il “Golden State” sarebbe, se preso singolarmente, anche il quarto Paese produttore su scala globale dopo la triade enoica di Francia, Italia e Spagna, oltre che un mercato che nel corso del 2016 ha visto passare di mano vino per 34,1 miliardi di Dollari. Inoltre, quello che succede in California oggi finirà presto con l’influenzare, come minimo, l’intera produzione statunitense, e stando agli accademici della California State University, uno degli atenei dello Stato più coinvolti nella formazione degli addetti ai lavori di domani, l’anno che è appena cominciato sarà caratterizzato da quattro trend.
Il primo, come riportato da “Newswise” (www.newswise.com), sarà la tendenza a produrre vini con un minore quantitativo di solfiti, particolarmente da parte dei produttori più giovani: un impulso che, secondo il Professore di Enologia Miguel Pedroza, si inserisce nel contesto di una preferenza ad usare meno chimica tout court, e che potrebbe presto notarsi sugli scaffali.
Il secondo vedrà, invece, i produttori concentrarsi sulla produzione di vini amabili (con un residuo zuccherino tra i 10 e i 30 grammi per litro), anche qui a partire dall’impulso degli addetti ai lavori di domani: “i produttori giovani”, ha sottolineato Pedrosa, “stanno esplorando le potenzialità di vitigni non convenzionali - come la Barbera, per esempio, per creare un rosé amabile, cosa che stanno facendo i miei studenti. I vini di questo tipo sono più semplici, di facile approccio, e offrono un’esperienza alla mano. Se un consumatore sta passando al vino da, ad esempio, la birra, può essere un buon primo passo”. Questa maggiore attenzione al residuo zuccherino si rifletterà anche sull’uso del legno per l’invecchiamento, un passaggio comune ma che può spesso portare “a vini nei quali si sente solo il carattere del legno, e non quello del vitigno utilizzato. Ci sono tutta una serie di strumenti che possono essere utilizzati per limitare la presenza gustativa del legno, e questo sta portando di converso i produttori a tenere più di conto la qualità delle loro uve e lo stato di salute dei loro vigneti”.
Infine, il mercato, che particolarmente negli Stati Uniti vuol dire Millennial: secondo la professoressa di Economia del Vino, Marianne McGarry Wolf, il fascino esercitato dal vino su questa fascia d’età è largamente dovuto al suo consumo, “tradizionalmente associato al cibo. Una modalità diversa da quella delle altre bevande alcoliche, e che ben si sposa con la ricerca di un consumo salutare”, anche se la birra a lavorazione artigianale resta un avversario temibile. Secondo un sondaggio da lei condotto su oltre 1.000 enoappassionati californiani, infatti, “il 41% del consumo mensile di bevande alcoliche dei ventenni e trentenni è dedicato proprio a queste birre, e solo il 37% al vino”, mentre per i consumatori più in là con gli anni le percentuali di consumo sono del 29% e del 57%.
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