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Agromafie: dopo l’operazione contro la ’ndrangheta, che tra Italia e Germania controlla intere filiere dell’agroalimentare calabrese, a Catania scatta il sequestro del patrimonio aziendale della catena di supermercati Gm, vicini al clan Cappello

Non c’è stato neanche il tempo di assimilare la notizia dell’imponente operazione, coordinata dalla Procura di Catanzaro, che ha portato all’arresto di 169 persone tra Italia e Germania, protagoniste di una fitta rete economico-amministrativa legata alla ’ndrangheta, che coinvolgerebbe numerose attività operanti nei settori della produzione e commercio di pane, della vendita del pescato, del vino e dei prodotti alimentari tipici, tutte nella zona di Cirò e tutte infiltrate da un radicale controllo mafioso, che i dati sulle agromafie hanno bisogno di un nuovo aggiornamento. La divisione polizia anticrimine della Questura di Catania, infatti, ha portato al maxi-sequestro nella città etnea di beni per 41 milioni di euro, tra cui l’intero patrimonio aziendale della catena di supermercati Gm, con oltre una decina di punti vendita nell’area urbana e nella provincia, di proprietà di un imprenditore ritenuto orbitante nell’area di influenza del clan Cappello.

Un monito a chi pensa che il fenomeno sia comunque in diminuzione, però, arriva dalla Coldiretti, che sottolinea come il volume d’affari delle agromafie sia salito a 21,8 miliardi di euro, con un balzo del 30% nel 2017, ed attività che riguardano l’intera filiera agroalimentare. Le mafie, denuncia la Coldiretti, condizionano il mercato agroalimentare stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, il controllo di intere catene di supermercati, l’esportazione del nostro vero o falso made in Italy, la creazione all’estero di centrali di produzione dell’Italian sounding e lo sviluppo ex novo di reti di smercio al minuto. In questo modo, la malavita si appropria di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta, ma anche compromettendo in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l’effetto indiretto di minare profondamente l’immagine dei prodotti italiani e il valore del made in Italy.

Fenomeno delle agromafie che riguarda da vicino, ovviamente, anche il settore della ristorazione e, più in generale, dei pubblici esercizi, come ricorda in una nota il presidente della Fipe - Federazione Italiana Pubblici Esercizi, Lino Stoppani, commentando l’ultimo rapporto sulle Agromafie. “Il rapporto sulle Agromafie informa sulle illegalità diffuse nell’Agricoltura, confermando la gravità e la resilienza di un fenomeno che produce caporalato, manipola la formazione dei prezzi, commercializza prodotti di illecita provenienza e inquina il mercato, oltre che gravemente l’ambiente. Una piaga che colpisce anche la Ristorazione, che è vittima di un sistema malavitoso che impone ricatti ed estorsioni e che acquisisce locali, completando la sua filiera criminale, inquinando il settore e distorcendo le dinamiche concorrenziali, producendo danni aggiuntivi, anche di natura reputazionale per tutto il comparto, fatto per la stragrande maggioranza di operatori perbene, che lavorano e faticano valorizzando la filiera agro-alimentare. Secondo questa indagine sarebbero 5.000 i ristoranti in mano alla criminalità. Sono tanti, anche se rappresentano una percentuale minima rispetto al totale dei Pubblici Esercizi italiani, che richiede grande attenzione, azione di prevenzione e di denuncia del malaffare, in collaborazione costante con l’encomiabile attività delle Forze dell’Ordine e della Magistratura. Va ripreso e rafforzato il controllo del territorio, tenuto monitorato lo sviluppo delle imprese, individuando indici di allerta (socio effettivo, importo degli avviamenti pagati, corrispettivi incassati, concentrazione di attività) che evidenzino anomalie sulle quali intervenire, proteggendo i veri imprenditori del settore che devono poter svolgere il loro lavoro liberamente, senza ricatti o distorsioni”.

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