Il vino italiano in Cina, sembra crescere di reputazione, ma i dati economici parlano di un sostanziale immobilismo o, al massimo, di una leggere crescita. Secondo i dati delle dogane cinesi sull’intero 2018, riportati da Ice di Pechino, le esportazioni di vini italiani hanno raggiunto quota 168 milioni di dollari, con una crescita di appena il 4,6% in valore sul 2017. Eppure, quello oltre la Grande Muraglia è un mercato enorme, da presidiare per cogliere la grande crescita che tutti prevedono, e che farà della Cina il primo mercato di vino al mondo nel giro di pochi anni. E, intanto, saranno Brunello di Montalcino, Amarone della Valpolicella, Barolo, Prosecco, ed Etna a rappresentare l’Italia al China Wine Summit (Shanghai, 23-24 febbraio 2019) dove ogni anno vengono premiati da critici ed esperti internazionali del settore i migliori vini cinesi. “Alcuni vini cinesi sono tecnicamente perfetti ma mancano di anima” dice Silvana Ballotta, Ceo di Business Strategies, unica società italiana nella manifestazione cinese con una Master Class dedicata al valore e alla promozione del made in Italy. “I cinesi si stanno aprendo al mondo del vino con delle produzioni anche di qualità, ma riconoscono al vino italiano quel patrimonio di storia e cultura che ancora a loro manca, e che noi dobbiamo imparare a raccontare di più”.
Secondo l’elaborazione dell’osservatorio di Business Strategies, nonostante una crescita delle esportazioni che nel quinquennio 2012/2017 ha raggiunto il +93,1%, il Belpaese si classifica ancora solo 28esimo tra i fornitori di food & wine in Cina con una quota di mercato che non arriva allo 0,5%, settimo tra i soli competitor europei. Un dato che migliora sul fronte vino, dove l’Italia, nel 2018, ha praticamente raggiunto la Spagna tra i fornitori (dopo Francia, lontanissima, Australia e Cile), con una market share pari al 7% delle importazioni complessive di vino in Cina.
“Soffriamo di un deficit di conoscenza che si traduce in un deficit di posizionamento e di mercato - prosegue Ballotta - una migliore promozione integrata dell’Italia, non solo in Cina ma nel mondo, potrebbe portare ad un valore economico aggiuntivo di oltre +45 miliardi di euro. Parliamo di un valore che può raggiungere fino al 14% del Pil attuale (dati elaborati da The European House - Ambrosetti)”.
“L’Italia può tornare ad essere competitiva sui mercati internazionali – spiega ancora la Ballotta - a patto che ci sia un brand ombrello in grado di rappresentare tutti i produttori e delle strutture qualificate in grado di accompagnare nel mondo le aziende rappresentative del made in Italy e di fare formazione sul consumatore finale che è poi quello che stabilisce il successo di un prodotto rispetto ad un altro”.
Nei prossimi cinque anni, secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale, il reddito medio pro-capite in Cina dovrebbe aumentare del 50%, con più di sei cinesi su dieci concentrati nelle aree urbane, mentre secondo le proiezioni dell’Istat, da qui al 2022 le esportazioni di vino italiano dovrebbero crescere di oltre il 38%.
Anche di questo si parlerà al China Wine Summit, la manifestazione più grande e più influente sul vino cinese organizzato da Shanghai Morning Post e Tastespirit. Unitamente alle sezioni dedicate al vino cinese ospiterà le master class di Jancis Robinson (critico enologico di fama mondiale), Bernard Burtschy (presidente dell’Associazione di Stampa Vinicola di Francia), Ian d’Agata (critico enologico per l’International Wine Cellar di Stephen Tanzer) e di Silvana Ballotta, aggiungendo un altro tassello alle azioni di Business Strategies in Cina, che, a Shanghai, ha fondando la prima accademia di vino italiano dedicata al consumatore cinese, la “Taste Italy! Wine Accademy”, e vanta collaborazioni e partnership con importanti società di ricerca, associazioni culturali e commerciali, governative e non, e con lo Shanghai Media Gruppo, il secondo gruppo media più grande in Cina.
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