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L’INTERVISTA

Il vino italiano nel mondo, la Cina in grande crescita: a WineNews, le riflessioni di James Suckling

“Brunello, Barolo e Alto Adige i grandi classici sempre in voga, ma occhio ad Etna e Friuli Venezia Giulia, e alla riscossa dell’Amarone in Asia”
CINA, ITALIA, JAMES SUCKLING, MONDO, vino, Italia
James Suckling intervistato da WineNews

La Cina che sarà il primo mercato mondiale del vino nei prossimi 5 anni, i vini dell’Etna e del Friuli Venezia Giulia in rampa di lancio, accanto a grandi classici come Brunello di Montalcino e Barolo tra i rossi, ed Alto Adige tra i bianchi, con la possibile riscossa dell’Amarone della Valpolicella, e una riflessione sul divario, ancora enorme, tra i prezzi dei vini italiani e francesi, dovuto non ad una differenza in termini qualitativi, ma all’immagine e alla reputazione su cui la Francia lavora da secoli, e l’Italia solo da qualche decennio. Sono alcuni degli spunti lanciati da James Suckling, una delle voci più seguite della critica enoica internazionale, soprattutto in Asia, ma non solo, con il suo portale www.jamessuckling.com, intervistato da WineNews.
Convintissimo del primato dei consumi mondiali alla portata del Celeste Impero. “La Cina è già il mercato n. 2 al mondo per il vino, secondo me, in cinque anni, sarà il n. 1. E già il mercato più importante per i vini australiani, per esempio, più di Uk e Usa, per esempio - sottolinea Suckling - è già il primo per il Cile, ma anche per i vini di Bordeaux. E qui c’è tanto potenziale per i vini italiani, c’è una buona comunicazione, ma anche tanto tanto da fare. E, anche per me, per la mia compagnia, uno degli obiettivi è essere i n. 1 in Cina, che sarà un Paese sempre più importante per il vino”. Un mercato, però, dove almeno a livello comunicativo, sembra vincere più il modello del “Nuovo Mondo”, più legato ai vitigni, che quello europeo, incentrato sulle denominazioni.
“Quando parlo di Italia, faccio sempre comparazioni con il sistema delle denominazioni della Francia, perchè in Cina è il punto di riferimento, quindi spiego che come in Francia ci sono Bordeaux e Borgogna, in Italia ci sono Brunello di Montalcino e Barolo, per comunicare concetti che tutti possono capire. Ma a volte quando si parla troppo di denominazioni, di Doc e Docg, gli asiatici si perdono subito. Allora penso che oggi la cosa più importante sia ancora comunicare il marchio dei grandi vini italiani, poi possiamo parlare delle denominazioni. Anche in Usa, ancora, in fondo è così. La Toscana è sempre n.1, poi qualcuno cerca anche le piccole denominazioni, ma ancora la comunicazione dei grandi vini e dei grandi marchi conta più della denominazione”.
In ogni caso, secondo Suckling, ci sono dei vini e dei territori italiani più sotto ai riflettori di altri, in questo momento.
“Di sicuro il Brunello di Montalcino, con l’uscita dell’annata 2015, ed il sempre fortissimo Barolo. E poi l’Etna, di cui parlano tutti, capace di esprimere vini buonissimi, “trasparenti”, raccontano la terra di questo territorio. E tra i bianchi, io amo sempre l’Alto Adige, ma di recente sono stato in Friuli Venezia Giulia, terra che da vita a grandissimi vini bianchi, ma sui quali manca un po’ di comunicazioni. Il mondo deve capire bene che da qui nascono vini buonissimi”. E se sono tanti i territori italiani proiettati sui mercati del mondo, secondo Suckling i tempi potrebbero essere maturi per una riscossa dell’Amarone della Valpolicella, soprattutto in Asia. “A patto che i produttori tornino a fare vini più tradizionali, ovvero più amari e secchi, invece che dolci. Ci sono vigneti pazzeschi, bellissimi, nella Valpolicella Classica, e servono vini capaci di comunicare anche questa bellezza. L’Amarone può essere qualcosa di interessante, è un po’ dimenticato: tutti hanno capito la grande qualità del Brunello di Montalcino, del Barolo, del Barbaresco, dei Supertuscan, ma l’Amarone può essere un’altra grande bandiera per promuovere i vini italiani”.
Vino italiano che ancora sconta un divario di valore enorme con quello francese, con le bottiglie del Belpaese che, secondo le stime medie in export, a bottiglia, viaggia su 5-6 euro in media, mentre quello d’Oltralpe che vola sui 15-16 euro. “Una differenza che non è giusta, e questo accade solo perchè i più grandi vini francesi sono molto più cari dei grandi vini italiani: non è una questione di qualità, ma solo di immagine e reputazione nel mercato. I vini francesi hanno lavorato 200 anni e più su questo, in Italia forse ci si lavora da 20 anni, è solo qui la differenza”.
Eppure, questo non vuol dire che il Belpaese sia ancora percepito come produttore di buoni vini a prezzi convenienti. “Chi viene ai miei eventi in Asia, ma anche i Usa - spiega Suckling - viene per conoscere i migliori vini italiani. Ho 3-4 milioni di “follower” del mio brand, e sono interessanti davvero al massimo della qualità possibile, sono informati, super-sofisticati e giovani”.
L’importante è essere presenti sui mercati, ed in questo senso lo strumento per la promozione nei Paesi Terzi dell’Ocm Vino, sottolinea il critico, è importante. “È uno strumento che funziona bene perchè aiuta produttori che vogliono andare nel mondo, che è fondamentale, anche per conoscere quello che succede fuori dal mercato italiano. Perchè la comunicazione via internet, via social, aiuta, è importante, ma è ancora più importante viaggiare, essere presenti sui mercati, conoscere e farsi conoscere”. Anche per capire non solo i grandi cambiamenti, ma anche quelli più piccoli. Come, per, esempio, quello delle grandi collezioni private e delle cantine di pregio nelle case degli appassionati del mondo. “È un fenomeno molto meno importante che in passato. Io abito ad Hong Kong, per 6-7 mesi all’anno giro in Asia, e qui i giovani non hanno grandi cantine a casa. Magari hanno una piccola collezione di 50 bottiglie, ma non sono tanto interessati ad accantonare il vino, quanto a comprare grandi vini, anche vecchie annate, e berle subito. Si va insomma verso un consumo più smart anche del grande vino: ci sono tanti vini buonissimi nel mondo, i giovani si prendono il loro tempo per cercare cosa comprare sui social, su internet, condividono informazioni, e sono molto più informati di quanto lo eravamo noi 20 anni fa”.
Insomma, sembra che la strada sia spianata per il business enoico. Eppure, nonostante nel mondo aumentino produzione e produttori di vino, non tutto è così semplice. “Lo dico sempre a chi me lo chiede: con il vino è difficile fare soldi. Ci sono tanti costi, poi il vino va venduto, e ci sono tanti problemi di logistica, di marketing, di riscossione e così via. Non per questo non si deve investire in questo settore, che è bellissimo. Ma si deve farlo consapevoli che fare soldi, e fare profitto, non è affatto semplice”.

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